Papa Francesco in Ungheria ha mostrato di volere sposare molti degli aspetti del Paese considerati controversi dalla stampa più progressista. Ma la notizia, che per molti sembrerebbe piuttosto eclatante, sembra piuttosto scomparire in gran parte dei media generalisti.
A lanciare l’accusa è il quotidiano Libero, che sostiene come il discorso del Pontefice, in particolare nel duro passaggio rivolto verso l’ideologia Lgbt, sia stato quasi sostanzialmente ignorato, a differenza di altre occasioni in cui le sue parole sono state usate per sostenere la tesi opposta.
Nel corso del suo viaggio apostolico in Ungheria Papa Francesco l’ha spiegato forte e chiaro, gridato il suo secco no all’ideologia del gender, come anche al sovranazionalismo astratto che troppo spesso intacca l’Europa dal suo versante “burocratico” e a discapito di quel sogno europeo dei popoli tanto desiderato e acclamato. L’incontro con il premier ungherese Victor Orban, per i progressisti europei un vero e proprio nemico da mettere all’angolo, mostra al contrario un grande momento di intesa, mandando in tilt la narrazione del “Papa di sinistra” contro i cattivoni del conservatorismo europeo e mondiale.
Dopo il breve ma intenso viaggio del 2021, in occasione del Congresso eucaristico internazionale, Papa Francesco aveva promesso di tornare nel Paese dell’est Europa, e così l’ha fatto. Un viaggio di tre giorni che lo cristallizza come il secondo Papa a far visita al Paese dopo Giovanni Paolo II, che vi si è recato nel 1991 e nel 1996. Fin dal primo discorso pronunciato di fronte alle autorità del Paese ha lodato il modello ungherese parlando di “un paese che conosce il valore della libertà e che, dopo aver pagato un alto prezzo alle dittature, porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace”.
Un discorso a dir poco toccante, che ha preceduto la commozione quando si sono citati martiri come il sacerdote ungherese János Brenner, proclamato beato dalla Chiesa cattolica nel 2018, che il fratello anziano don József ha ricordato essere “brutalmente assassinato all’età di 26 anni dal regime ateista”. Insomma, l’Ungheria come un Paese che conosce la libertà negata dai regimi atei, e che oggi è messo al centro del ciclone dall’establishment internazionale per il “peccato” di volere decidere in autonomia le proprie politiche migratorie, o sui diritti civili e similari.
Pare quasi, spiega il Papa, che “a livello internazionale la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”. In sostanza, mentre il Parlamento europeo non solo ha già condannato Budapest per le sue scelte in materia di politica migratoria, facendo presagire sanzioni estremamente dure, il Papa vola direttamente in terra ungherese e rievoca la lotta di Giovanni Paolo II all’ideologia comunista. Mettendo per prima, sulla graticola, proprio la cultura del gender che non vuole differenze tra maschio e femmina, invocando così “un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli”.
A seguire, l’attacco durissimo è per il dramma dell’aborto sponsorizzato come libero e senza criticità, oppure la colonizzazione delle nazioni imposta dall’alto di una decantata superiorità morale incarnata in un’istituzione astratta e senza cuore come rischia evidentemente di essere, per Francesco, l’Unione europea. Il nemico non è quindi l’Ungheria di Orban, ma al contrario la “via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato diritto all’aborto che è sempre una tragica sconfitta”. E “che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dovevi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno“, è al contrario l’augurio del Pontefice.
Le sue prime parole, accolto dalla presidente della Repubblica Katalin Novak, sono di pace. “Giungo come pellegrino e amico in Ungheria, Paese ricco di storia e di cultura; da Budapest, città di ponti e di santi, penso all’Europa intera e prego perché, unita e solidale, sia anche ai nostri giorni casa di pace e profezia di accoglienza”. Parlando alle autorità dell’Ungheria a Budapest ha rincarato la dose: “Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti. Purtroppo non è stato così. Nel mondo in cui viviamo, tuttavia, la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra”.