La Procura generale accoglie l’istanza della difesa: ora la decisione spetta al giudice. L’ex Re della mala milanese è in carcere da oltre mezzo secolo
La storia di un criminale sui cui si è romanzato sui libri e al cinema, perfino una serie tv. Su di lui si è detto e scritto di tutto. Per molti Renato Vallanzasca è il bandito per eccellenza, una specie di mito, all’inizio della sua “carriera criminale” si diceva rubasse ai ricchi per dare ai poveri, una sorta di Robin Hood italiano, ma non era così. Ora sono più cinquant’anni che è in carcere e la sua salute non è proprio ottima. Tutt’altro. Chissà se è per questo che il tribunale di Sorveglianza di Milano ha deciso di accogliere la richiesta della difesa dell’ex boss detenuto a Bollate, di riprendere a usufruire dei permessi premio.
Licenze, quelle di cui usufruiva Vallanzasca, che erano state sospese qualche mese fa a febbraio e marzo quando dal carcere fu segnalato un comportamento “anomalo” legato all’uso e al modo di uscire in permesso. Spesso e volentieri non rientrava negli orari giusti, ma ben oltre a quelli indicati. Un vero e proprio “offuscamento“, uno degli oggetti dell’istanza della difesa che potrebbe essere dovuta ad una patologia neurologica in fase di accertamento.
“Ha sempre rispettato scrupolosamente le prescrizioni”
Una decisione tanto attesa dalla difesa e dallo stesso Vallanzasca, tanto che nel provvedimento si spiega che il l’ex Re della mala milanese “ha sempre rispettato scrupolosamente le prescrizioni”, e anche che nella comunità ospitante Vallanzasca “ha sempre tenuto un comportamento esemplare, nessun rilievo è mai stato mosso nei suoi confronti, tanto che la direzione del carcere ha segnalato che ‘i permessi premio hanno avuto per il soggetto una funzione risocializzante e pedagogicamente rilevante proprio perché sono stati fruiti presso la struttura della comunità, divenuta per lui vero e proprio ambito affettivo e di confronto‘”.
Per la difesa di Vallanzasca la cancellazione del permesso, apparentemente giustificato da ragioni sanitarie, si motiva in una “sanzione immotivata e penalizzante che, oltre ad interrompere gli effetti risocializzanti derivanti dalla fruizione dei permessi, rischia di aggravare le condizioni psichiche del detenuto che vedeva in quegli spazi di libertà ragione di sollievo per la propria patologia neurologica”.