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Stefano Andreotti: “Mio padre pianse solo due volte, una fu per Aldo Moro”

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Paolo Colantoni

A dieci anni dalla scomparsa del simbolo della Prima Repubblica, il figlio Stefano dichiara: “Quante falsità ho dovuto sentire su quella storia. Oggi impazzirebbe per la guerra in Ucraina”

Il simbolo della Prima Repubblica, uno dei testimoni più autorevoli della storia italiana. Un politico di spessore, che ha caratterizzato oltre mezzo secolo di vita della nostra Repubblica. Giulio Andreotti è stato il politico con il maggior numero di incarichi governativi nella storia della repubblica. Per sette volte è stato Premier (per un totale di 2652 giorni), per 34 volte ministro della Repubblica: 8 volte ministro della difesa, due dell’Interno, cinque degli Esteri, quattro del Bilancio, tre dell’Industria, due delle Finanze, oltre ad un numero imprecisato di ruoli e di funzioni che ha svolto sempre in prima persona.

Stefano Andreotti ricorda il padre Giulio, a dieci anni dalla morte – Notizie.com

A dieci anni dalla sua scomparsa, Notizie.com ha incontrato il figlio Stefano. “Per noi il 6 maggio è sempre un giorno particolare. Oggi, a dieci anni dalla sua morte il pensiero è ancora più forte. Lo abbiamo ricordato con una messa nella parrocchia di Piazza Capranica, dove era nato. In chiesa sono venute tante persone. Ho avuto modo di rivedere tanti amici che non incontravo da tempo”.

Che effetto le fa sentire parlare di suo padre come del simbolo della Prima Repubblica?
“Ne è stato uno degli artefici. Certamente come longevità politica è quello che è durato di più. Ha iniziato ad occuparsi di politica dopo la guerra, quando ancora la Democrazia Cristiana non era nata. Partecipò con De Gasperi e gli altri costituenti, alla nascita del partito ed è stato al Governo fino al 1992. Poi ha fatto il senatore a vita fino alla sua morte. Il periodo con la più intensa attività politica è stata la Prima Repubblica. E’ un nome che viene sempre associato a quegli anni li”.

Nel corso di questi dieci anni ha fatto delle scoperte su di lui?
“Certo. Mio padre ha lasciato un archivio privato all’Istituto Luigi Sturzo, che è colossale. Io non sapevo che gli archivi venissero misurati a metri lineari: parliamo di settecento metri di carta. Lui ha voluto che fosse aperto a tutti. Con molta fatica lo stiamo catalogando per renderlo ancora più fruibile, ma già tante persone lo hanno letto. Ha lasciato tante altre cose. Io sono in pensione da qualche anno e mi sto dedicando alla memoria di mio padre. Con mia sorella abbiamo pubblicato un diario degli anni settanta, poi uno degli anni ottanta, un epistolario di lettere scritte a mamma: quattrocento lettere scritte dal 45′ al 70′. Mi dedico molto alla memoria, per cercare di dare un’immagine di mio padre e della Prima Repubblica più aderente a quello che è realmente è stato. Tramite documenti e non frasi preconcette”.

Giulio Andreotti con il presidente russo Gorbacev – Notizie.com20230506

Qual’è la cosa detta su suo padre che l’ha sempre fatta arrabbiare?
“Su di lui se ne sono dette tante. Lui amava ripetere che gli sono stati addebitati tutti i mali del mondo, dalle guerre puniche in poi. Certamente è stato segnato dai  processi che ha subito negli anni novanta per Mafia e per l’omicidio Pecorelli. Ma la cosa che non ha mai digerito è un’altra”.

Quale?
“L’idea, spesso rilanciata, che non si sia battuto per salvare la vita ad Aldo Moro. Non solo, ma che avesse quasi cospirato contro di lui. Questa cosa lo ha sempre addolorato tantissimo e non si è mai capacitato del perchè venisse messa in circolazione. Lui in quei giorni era un uomo distrutto dal dolore e dall’angoscia. Tentò fino all’ultimo giorno di fare qualcosa. Trovò un canale privato in Vaticano, attraverso un cappellano militare di un carcere milanese, che aveva contatti con qualcuno dei brigadisti. Aveva trovato una strada che sembrava buona, e che prevedeva il pagamento di un riscatto. Quando ricevette quella maledetta telefonata da Cossiga, che era ministro dell’Interno, era convinto di ricevere la comunicazione della liberazione di Aldo Moro”.

Come reagi?
“Io ho visto mio padre piangere due volte in tutta la sua vita: quando morì mia nonna e quel giorno”.

Giulio Andreotti, morto il 6 maggio del 2013 – Notizie.com

Il suo rapporto con i politici di allora?
“Ha avuto rapporti stretti con tutti, come è normale che fosse per il ruolo che ricopriva. Paradossalmente quelli meno facili furono all’interno della Democrazia Cristiana. Anche con i Comunisti, avversario storico della Dc, ha avuto rapporti di grande familiarità con tanti. All’interno della Dc quello con cui ebbe le divisioni più gradi fu Fanfani”.

Oggi esiste un erede di Giulio Andreotti?
“E’ un mondo completamente diverso. La cosa che non piacerebbe a mio padre della politica di oggi è la contrapposizione, l’urlo, la violenza verbale che viene fatta quotidianamente e la poca considerazione del Parlamento, che ha sempre considerato il cuore della democrazia. E poi oggi impazzirebbe per la guerra in Ucraina. Ha speso gran parte della sua esistenza per trovare vie di pace ovunque. Vedere la situazione attuale sarebbe stato sicuramente il suo grande rammarico”.

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