E’ arrivata su Netflix la docuserie sulle vicende del marciatore italiano coinvolto in un caso di doping, ma rimasto incastrato in un’assurda e controversa vicenda politico sportiva
“Il Caso Alex Schwazer” è l’attesa docuserie di Netflix, scritta e diretta da Massimo Cappello in onda in questi giorni. Dopo oltre due anni di lavorazione, finalmente vede la luce il racconto dell’intricata vicenda giudiziaria che ha coinvolto il marciatore italiano e tutti gli organi più alti dello sport sia italiano che mondiale.
La famosa piattaforma streaming ha una ricca storia di titoli di successo dedicati a storie e campioni dello sport che, attraverso le loro imprese, hanno scritto pagine sia leggendarie sia drammatiche. Dal calcio alla Formula 1, dal gol al Tennis, nelle varie docuserie vengono mostrati i dietro le quinte delle varie discipline che non arrivano mai sul piccolo schermo.
Il numero 2102 sulla canottiera bianca bordata di azzurro, gli occhiali da sole sulla testa, le mani a coprire il volto solcato dalla fatica per l’incredulità del momento e dopo il quale, tagliato il fatidico traguardo, è stato istintivo inginocchiarsi sulla pista di tartan in un misto di devozione e commozione e poi quel giro di pista con il tricolore sulle spalle. Alex Schwarzer, il marciatore italiano nato a Vipiteno, ha appena coronato il sogno della vita: vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Quella medaglia d’oro sarà il simbolo della spedizione azzurra a Pechino 2008, da quel giorno per Schwarzer comincerà un’altra vita tra apparizioni televisive, feste, commemorazioni, pubblicità e forse proprio quel giorno e quel trionfo incredibile sono stati l’inizio di tutto, l’inizio della fine. E’ arrivato su Netflix il racconto della vicenda prima sportiva, poi giudiziaria infine umana del più famoso marciatore italiano dell’epoca, una vicenda che un poco alla volta si è andata ad incastrare in storie di doping, squalifiche, provette manomesse, processi e una carriera stroncata in maniera poco chiara.
Il trionfo di Pechino non ha portato soltanto gloria al marciatore italiano, ma anche ansia e tanta pressione per restare in cima a un mondo dove fatica e sudore possono anche non bastare. Un disagio che, a poco a poco, ti mangia dentro e ti porta a prendere decisioni che mai avresti semplicemente pensato di prendere. La marcia è uno sport che richiede costanza, serve avere una resistenza esagerata, una forza mentale enorme, ma è anche una disciplina incredibilmente tecnica, con quell’andatura strana, ondeggiante, da perfezionare anno dopo anno. Alex Schwazer era uno dei migliori nel farlo, lo aveva dimostrato per tutta la vita, ma nel 2012, alla vigilia dei giochi olimpici di Londra, dopo un controllo a sorpresa dell’Agenzia Mondiale Antidoping, viene riscontrata la sua positività all’Epo e squalificato per 8 mesi, poi diventati 11 dopo aver patteggiato e confessato tutto in una drammatica conferenza stampa. Per ripartire Alex aveva deciso di rimettersi in gioco al termine della squalifica che doveva terminare il 30 gennaio 2016. I giochi di Rio de Janeiro nell’agosto 2016 dovevano quindi essere quelli del riscatto, a prescindere dal risultato. E per farlo aveva scelto il miglior allenatore italiano disponibile, Sandro Donati, da sempre fiero avversario di qualsiasi pratica poco lecita che secondo lui si sarebbe utlizzata in quegli anni anche in Italia.
Poi l’intrigo internazionale
Nel gennaio del 2016, mentre sotto la guida di Donati Schwazer sembra essere tornato quello di Pechino, emerge una seconda positività da un test delle urine inizialmente risultato negativo. Viene sospeso a Luglio del 2016 in via cautelare, ma il suo avvocato annuncia subito il ricorso per una manipolazione esterna del campione. Le Olimpiadi in Brasile sono alle porte, addirittura il marciatore vola a Rio de Janeiro perché pensa che ci sia un errore e che tutto si risolva in tempo per correre la “sua” gara, ma il caso si complica, diventando più drammatico. Il TAS, il tribunale sportivo di Losanna, blocca la sua partecipazione e lo squalifica per 8 anni, cioè fino al 2024. E quella squalifica oggi è ancora in vigore nonostante il tribunale di Bolzano nel 2021 abbia disposto l’archiviazione ritenendo che i campioni di urina siano stati alterati per ottenere la sua squalifica e il discredito dell’allenatore.
Nei campioni delle urine di Schwazer è stata rilevata infatti un’eccessiva presenza di DNA “accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati”. Insomma la seconda positività è risultata un complotto. Resta da capire contro chi, se contro un atleta scomodo perché non si è mai arreso dalla sua voglia di rientrare o contro un allenatore tutto di un pezzo che non si è mai piegato a delle metodologie che in Italia, per molti anni, hanno fatto gridare al miracolo sportivo per i risultati che portavano. Oggi Alex Schwazer è un allenatore di podisti amatori, perché è questo l’unico modo che ha trovato per restare nel mondo dello sport, non avrà più tempo per gareggiare la “sua” gara a un’altra Olimpiade, ma “continuerà a sentirsi per sempre un atleta”.