La notizia è particolarmente interessante per chi spera negli sviluppi positivi del conflitto russo ucraino, ma anche per chi segue e si interessa dei movimenti vaticani e dei posizionamenti all’interno della Santa Sede e nella Chiesa romana. Papa Francesco ha affidato al presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, la missione di pace in Ucraina di cui si parla da settimane, da ancora prima dell’incontro tra Bergoglio e Zelensky in Vaticano.
I tempi, i dettagli e le modalità di questa missione, tuttavia, sono ancora allo studio, mentre analisti, osservatori e commentatori si soffermano su diversi aspetti della vicenda. Da un lato, l’esperienza diplomatica di una figura come quella di Zuppi, già impostasi con la firma dei trattati per la pace in Mozambico a Roma, nel 1992. Dall’altro, i sorpassi e gli scavalcamenti a all’interno dei Sacri Palazzi, che invitano a guardare non solo al presente ma anche al futuro della Chiesa di Roma.
“Posso confermare che Papa Francesco ha affidato al Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, l’incarico di condurre una missione, in accordo con la Segreteria di Stato, che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza, mai dimessa dal Santo Padre, che questo possa avviare percorsi di pace”, sono le parole diramate dalla Sala stampa vaticana, con un comunicato stampa in cui si risponde alle domande dei giornalisti. “I tempi di tale missione, e le sue modalità, sono attualmente allo studio”, è quanto specifica inoltre il direttore della Sala stampa, Matteo Bruni.
Da giorni circolavano infatti voci su questa che sembra una notizia a tutti gli effetti, e si dica pure un certo rilievo, così su sollecitazione dei giornalisti la sala stampa vaticana ha risposto, e confermato ogni rumors. Sarà proprio Zuppi l’uomo scelto dal Papa per provare a mettere fine alle ostilità in terra ucraina, nell’ambito di quella stessa missione di cui Francesco aveva provato a dare conto lo scorso 30 aprile, nel volo di ritorno dall’Ungheria, sempre in dialogo con i giornalisti.
Subito la Cei, attraverso il direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, Vincenzo Corrado, ha specificato che Zuppi non rilascerà alcuna intervista a riguardo, almeno fino al momento in cui non lo riterrà opportuno. Se non altro, per non scomodare o infastidire le stesse parti interessate nel processo di pace, come accaduto nei giorni precedenti dopo l’indiscrezione lanciata dal Sismografo su un possibile incontro a Kiev tra Zuppi e il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, che aveva fatto diramare a quest’ultimo una nota di smentita. Solo il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Baturi, si è limitato a chiedere ai fedeli di pregare per l’importante “missione che il Santo Padre ha voluto conferire al Presidente della Cei, affinché porti frutto e aiuti a costruire processi di riconciliazione”.
Zuppi infatti proviene dall’esperienza di Sant’Egidio, realtà da sempre impegnata sul fronte della diplomazia e della pace, tanto da guadagnarsi l’etichetta di “Ong di Trastevere”, termine coniato dai media per descrivere l’attività della Comunità trasteverina che pian piano si è guadagnata il ruolo e i compiti di quella che viene descritta come una sorta di diplomazia parallela vaticana, a volte persino più incisiva della prima. Come ad esempio nel 1992, quando Sant’Egidio, e Zuppi stesso, riuscirono a fare suggellare a Roma la firma sul processo di pacificazione che portò alla fine della guerra civile in Mozambico, dopo oltre 16 anni di un conflitto fratricida e dilaniante.
Insomma, un background di tutto rispetto sul fronte della pace, che portò Zuppi anche ad essere nominato cittadino onorario del Paese africano. I più maliziosi, tuttavia, non hanno visto solamente nella decisione del Papa l’intento di trovare un uomo capace di muoversi sul fronte diplomatico, visto che in Vaticano esistono già diverse figure altrettanto esperte sul tema. Oltre a questo, infatti, ci sono i rapporti tra Casa Santa Marta, residenza di Francesco, e la Segreteria di Stato, che sembrerebbero a questo punto presentarsi come sempre più distanti.
Secondo alcuni, infatti, la scelta di Bergoglio lascia intendere una sorta di scavalcamento verso due organi vaticani in particolare preposti alle missioni estere. Uno su tutti, l’arcivescovo inglese segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, il “ministro degli esteri” vaticano Mons. Gallagher, ma anche e soprattutto il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, uomo a sua volta di grande esperienza diplomatica e internazionale. Che tuttavia Francesco ha defraudato di molti dei suoi poteri, con la recente promulgazione della nuova Costituzione apostolica che entrerà in vigore il prossimo 7 giugno.
Questa infatti prevede il sostanziale ridimensionamento del ruolo della Segreteria di Stato, guidato da Parolin, a favore del Governatorato, oggi retto dal cardinale spagnolo Fernando Vérgez Alzaga per volontà proprio di Papa Bergoglio. Così, a parlare con russi e ucraini sarà un outsider, il cardinale capo della Cei ed esperto di diplomazia internazionale, nella speranza che possa portare a termine il lavoro di pace, e guadagnarsi così, nel contempo, un posto in prima fila nelle attenzioni dei media di tutto il mondo, oltre che nei Sacri Palazzi. Proprio mentre le attenzioni sui movimenti e i riposizionamenti delle cordate cardinalizie, in vista del prossimo Conclave, continuano a crescere.