Tutte le tappe storiche che hanno portato a una svolta epocale per la vita e la libertà di tutte le donne del nostro Paese
La legge sull’aborto compie 45 anni, risultato di una dura battaglia sociale, politica, civile ed etica. Fu soprattutto il movimento dei Radicali a richiedere a gran voce una norma che garantisse alle donne il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ricevendo il sostegno di altre forze politiche laiche e realtà cittadine. Così, il 22 maggio 1978, venne promulgata la legge nota come “194”, che sarebbe stata successivamente confermata da un referendum nel 1981. Prima di allora, l’aborto veniva praticato clandestinamente: solo le donne con maggiori risorse economiche potevano rivolgersi ai cosiddetti “medici d’oro” che richiedevano cifre esorbitanti per l’intervento, oppure recarsi in cliniche all’estero.
Le altre donne si affidavano alle cosiddette “mammane” o ricorrevano a pratiche pericolose da sole, mettendo a rischio la propria vita a causa di emorragie o complicanze. Ma qual è stato il percorso legislativo che ha portato a questa importante normativa? Nel 1971, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo l’articolo 553 del Codice penale che criminalizzava la propaganda a favore dei metodi contraccettivi. Nello stesso anno, il 7 giugno, i senatori socialisti Banfi, Caleffi e Fenoaltea presentarono il primo progetto di legge sull’aborto. Quattro mesi dopo, un altro progetto di legge a firma socialista venne presentato alla Camera. Tuttavia, entrambe le proposte non furono discusse. Si arrivò all’11 febbraio 1974, quando Loris Fortuna presentò un nuovo progetto di legge che ottenne l’appoggio del Partito Radicale e del Movimento di Liberazione della Donna (Mld).
Il 18 febbraio 1975, la Corte Costituzionale, a seguito di un ricorso presentato dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, dichiarò parzialmente illegittimo l’articolo 546 del Codice penale, riconoscendo così la legittimità dell’aborto terapeutico. Questi passi avanti portarono il Parlamento, il 29 aprile 1975, ad approvare la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari, con l’obiettivo di diffondere l’informazione sui metodi contraccettivi. Nel frattempo, il 14 febbraio 1975, il Partito Comunista presentò una proposta che elencava i casi in cui l’interruzione di gravidanza era ammessa entro il novantesimo giorno: pericolo di vita, grave pregiudizio per la salute fisica o psichica, possibili malformazioni del feto, violenza sessuale.
In questi casi, la decisione non spettava alla donna, ma a una Commissione composta da due medici e un assistente sociale nominati dal Consiglio di amministrazione degli ospedali. I Liberali presentarono un’altra proposta il 3 aprile 1975, chiedendo la parziale legalizzazione dell’aborto, motivato da gravi necessità oggettive. Il Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi) e la Democrazia Cristiana (Dc) presentarono le loro proposte. Nella proposta della Dc, l’aborto rimaneva un reato e si concedeva alla donna solo in circostanze specifiche un’attenuante. Per sollecitare il Parlamento, il Partito Radicale e il Mld si impegnarono nella raccolta delle firme per un referendum abrogativo delle norme del Codice penale che proibivano l’aborto. L’8 novembre 1975, la Cassazione dichiarò valide le firme per il referendum. Se non fosse stata approvata una nuova legge, il referendum si sarebbe tenuto tra il 15 aprile e il 15 giugno 1976.
Tuttavia, lo scioglimento anticipato delle Camere, decretato dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, fece slittare il referendum di due anni, rendendo possibile la sua realizzazione solo nella primavera del 1978. Alla riapertura del Parlamento, la discussione sulla legge riprese da capo. Il testo approvato dalla Camera fu respinto in commissione al Senato, ma i partiti laici lo ripresentarono immediatamente. Dopo varie polemiche e divisioni, soprattutto riguardo all’obiezione di coscienza dei medici, il 22 maggio 1978 la legge 194 entrò in vigore. Ma la storia non finì qui.
Nel maggio del 1981, la legge sull’aborto fu sottoposta a un referendum, da cui uscì indenne. Gli italiani furono chiamati a esprimersi su due quesiti opposti: da un lato, il quesito dei Radicali per l’abrogazione di alcune norme della legge 194 per ampliare la libertà di accesso all’aborto, e dall’altro, il quesito del Movimento per la Vita che proponeva l’abrogazione di alcune norme per restringere i casi di aborto legale. Il 79,6% degli aventi diritto al voto si recò alle urne. Il “No” ricevette l’88,5% dei consensi in merito alla proposta radicale e il 67,9% in merito a quella del Movimento per la Vita. La legge sull’aborto in Italia rappresenta una tappa fondamentale nella conquista dei diritti delle donne e nella lotta per la loro autonomia e salute riproduttiva. Nonostante le controversie e le sfide che ha affrontato nel corso degli anni, continua a rappresentare una garanzia per le donne italiane che desiderano esercitare il proprio diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.