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Silvio Berlusconi, la lezione del Cavaliere è degna della sua storia

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Armando Del Bello

Per Silvio poteva finire molto peggio di così e qualche esempio lo abbiamo alle spalle, senza andare troppo indietro nel tempo.

Poteva finire con una fuga sotto una pioggia di monetine come era accaduto il 30 aprile di 30 anni fa all’amico Bettino Craxi, uscendo dall’Hotel Raphael. Poteva finire come al cancello di villa Belmonte, in via XXIV Maggio, dove morì una giovane donna, Claretta, di trent’anni più giovane del compagno, che non volle allontanarsi, neanche in quel momento, dall’uomo che amava.

Cosa sta succedendo dopo la morte di Silvio Berlusconi- Credit ANSA- Notizie.com

Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Silvio si disse disposto a bere l’amaro calice della Politica. Da industriale, da outsider presto additato come parvenu – una definizione che racchiude, in egual misura, verità ed invidia – Silvio voleva l’impossibile o quasi: un atleta che dal mezzo fondo si mette alla prova nel salto triplo. Il problema non era il physique du rôle, né la volontà. Era l’assenza del linguaggio stesso della Politica, un lessico che promanava da dinamiche di comportamento, rituali, compromessi ed attese che erano agli antipodi del mondo imprenditoriale dove Silvio si era dimostrato qualcosa di più di un fuoriclasse.  Tra affari e Politica il contatto era costante ed invitabile, certo, ma era un rituale simile ad uno scambio di prigionieri al confine. Tu mi dai il mio, io il tuo. Dopo ci diamo le spalle ed ognuno al suo mondo. Ma ora le carte dalla tavola volavano via perché una staffilata di vento aveva aperto le finestre e scompaginato tutto. E quel vento arrivava dalla Procura di Milano.

Silvio Berlusconi, così inizia la guerra dei trent’anni

Sono trascorsi trent’anni esatti da quando la decisione era presa, perché il 17 febbraio del 1992 la cronaca che diventa Storia ci consegna una data ascritta come l’inizio di Mani Pulite. E l’epicentro era Milano, la Milano dove Silvio, 30 anni prima, aveva iniziato ad essere quello che sarebbe diventato. Pulite o meno che fossero, Silvio non era la persona capace di starsene con le mani in mano, mentre intorno il mondo cambiava. E il mondo era quello degli affari, delle sue aziende, pietre miliari di un’ambizione che per saziarsi si nutriva di sé stessa e, nonostante quell’enormità, restava inappagata.

Gli amici di Silvio Berlusconi gli portano omaggio- Credit ANSA- Notizie.com

Silvio fece l’unica cosa ragionevole che, dal suo punto di vista potesse fare, in quel momento. Ragionevole e folle: far saltare il banco. Se il destino ti ha imposto di puntare tutto su un numero, e solo su quello, e senti il suono secco di quella piccola boule bianca che esita, insiste ancora e ancora, e  sembra sul punto di fermarsi dove non dovrebbe, per fermarti il cuore, quando sei ad un attimo dal precipizio hai solo due possibilità. Continuare a vivere, perché hai vinto o alzarti dal tavolo, ormai morto. Silvio contemplò un’altra possibilità: comprarsi il casinò prima che la pallina terminasse il suo giro.

Ecco, per Silvio la Politica fu un azzardo che ne conteneva molti altri, un gioco al rialzo di un uomo nato imprenditore e rimasto tale fino al suo ultimo istante. L’azzardo e le sue varabili lo si poteva racchiudere in una parola sola: Giustizia, il Levitano da dove tutto era iniziato. Silvio sapeva che restando fuori dalla partita, restando un imprenditore che tratta al confine con la Politica avrebbe forse evitato la tempesta; ci sarebbero state inchieste, fascicoli ed aule di tribunale, nel migliore dei casi una guerra di posizione e di trincea. Nella peggiore ipotesi guerriglia. Ma lui sarebbe rimasto ragionevolmente al sicuro, nella fitta boscaglia delle sue aziende, con le società, i management a fargli da scudo e, perché no, a prendersi le colpe in pubblico ed i meriti in privato.

Tutti i giornali hanno parlato di Silvio Berlusconi- Credit ANSA- Notizie.com

Ma lui non era questo, non aveva la calma accondiscendenza che deriva da un rango nobiliare tramandato per generazioni. Non aveva l’imperturbabile certezza di uscire indenne, come poteva averlo chi apparteneva a ben altre famiglie e storie. No, lui era figlio di Rosa e Luigi, due persone qualsiasi, senza privilegio di casta o sangue a conferirgli un’immunità tanto etera quanto concreta, nei fatti, e adatta a tutte le stagioni. Gli avrebbero fatto pagare il coraggio, la spregiudicatezza ed i soldi.

Un giro intorno al Palazzo di Giustizia

E lui giocò al rialzo, più coraggio e più spregiudicatezza, perché aveva i soldi per farlo, prima che glieli portassero via. Chissà se prima di decidere  Silvio Berlusconi ha mai percorso, di notte, il perimetro del Palazzo di Giustizia, a Milano. La via è dedicata a Carlo Freguglia, un avvocato morto in battaglia. Forse avrebbe avuto una premonizione, Silvio, forse non era necessario. Immaginava tutto e credeva di poterne ragionevolmente calcolare le conseguenze. Ma se avesse osservato bene quel palazzo, bianco come il mostro marino raccontato da Melville, forse qualcosa di simile ad un dubbio, ad un principio di esitazione, gli avrebbe toccato la spalla. Ma il Nostro era Achab, allora: ossessionato il giusto, giovane e forte.

Il ricordi di Dalema su Silvio Berlusconi- Credit ANSA- Notizie.com

Qui inizia un’altra storia, una storia che, per quanto nota, conosciamo solo a metà. Berlusconi scende in campo, dunque, ma la Politica non è, e lo sapeva, una pianura da sorvegliare a distanza. Non era Marengo, o Wagram, ma una Diên Biên Phu: peggio di quanto lui, così ottimista da considerare prassi la miglior fortuna, potesse sognarsi.  La sua guerra dei Trent’anni fu con quel Palazzo di Giustizia che avrebbe fatto bene ad osservare con più attenzione, prima, e considerarlo terra di scontro, in un modo o in un altro. Un presidio invalicabile, capace di condizionarne ogni progetto o slancio. Diventa un luogo familiare come una casa, per i suoi avvocati, mentre lui passava da una villa ad un palazzo e viceversa. Ma anche quei corridoi scarni e austeri sarebbero stati, in qualche modo, la sua casa.

Berlusconi, c’è un prezzo da pagare

Le ostilità iniziano subito, e durano tre decenni. Caparbietà contro caparbietà, una guerra di posizione che condizionerà la vita politica di una Nazione intera. Una guerra civile, nella forma aggraziata di memorie e dibattimenti, sentenze ed appelli. Silvio che non arretra dal suo proposito di fare politica e cambiare il Paese, a suo dire, non fa ammenda, non si pente. Si abitua al ruolo, l’impresa vale il cilicio. Ma gli anni passano, anche i fuoriclasse perdono quella dinamica leggerezza tra desiderio, pensiero ed azione. Silvio si accontenta di vivere, alla grande, di fare politica per vincere senza cambiare il mondo. Il primo obiettivo sulla mappa, salvare le  aziende, è raggiunto, ma arriva l’inverno degli anni che passano e Silvio arretra. Forse è stato questo il vero prezzo da pagare, il compromesso non detto tra lui, gli oppositori, la cattiva stampa, ed il Palazzo di Giustizia. Ma tornare ad essere solo un industriale no, la scelta sarebbe apparsa una resa incompatibile con mito di sé stesso. E avrebbe lasciato agli altri l’ultima parola, a quelle stesse firme che l’hanno stretto d’assedio, senza un attimo di vera tregua, a torto a ragione. E se qualche ragione ora, che Silvio ha tolto il disturbo, la concedono, se il tono è meno aspro, il fastidio per lui rimane, se ne sente eco perfino nelle condoglianze.

 

Silvio Berlusconi partecipa all’incontro con una delegazione di Editori- Credit ANSA- Notizie.com

Silvio, il nemico

Silvio resta così, anche ora, sul confine tra l’adulazione e l’odio, la narrazione agiografica e quella diffamatoria, entrambe sgradevoli ed immotivate. Ma ci sono due o tre cose da tenere a mente, perché la vita di uomo è sempre tracciata nel chiaroscuro e quello che sappiamo è un sentito dire. Un fraintendimento che nasce da chi ha osservato per primo e riferito, fino a noi, che ascoltiamo e crediamo di sapere. Giudicare è il nostro modo di misurare il mondo, e trovare posto in esso. Questa cattiva abitudine ci domina quando qualcuno ci lascia, se la sua vita è stata  ingombrante, ostacolata, irraggiungibile ed invidiata come quella del ragazzo che cantava sulle navi. Le narrazioni hanno seguito le vite illustri, come i passi seguono un feretro, sempre, e il migliore sovrano avrebbe oggi le sue pagine di cattiva stampa. E’ giusto allora domandarci  cosa possiamo trarre di vero, quali sono i testimoni indubitabili, se ci sono.

La lezione del maestro

Sì, esistono, quei testimoni e non sono lontani né inattendibili. Sono nostri contemporanei, parlano oggi e possiamo ascoltare le loro parole. Li ascolti e ti viene restituito il tratto che manca all’immagine, a quel volto sempre  mostrato dalle passerelle illuminate della vita pubblica, fossero queste motivo di applausi o rese instabili dal dissenso. Per avere qualcosa di indubitabile dobbiamo tornare all’origine, al Silvio Berlusconi imprenditore. Ascolti e finalmente hai la sensazione, perso nel labirinto di siepi che è il giardino all’italiana della nostra Storia, di essere vicino alla verità. Quella di un uomo irripetibile, per essere stato, senza un attimo di esitazione, un crocevia tra spirito d’iniziativa, straordinaria attenzione ai dettagli e desiderio di essere amato. Un connubio tra qualità innate e vocazioni sostenute da una tenacia irreale. Insieme diventavano la sua ragion d’essere e facevano del suo agire una paradigma di forza persuasiva, e di lui l’empatia nella sua rappresentazione più piena ed appagante. Sono gli amici, i cinque figli che lo ricordano tutti allo stesso modo, e le persone che lavoravano per lui, nella sua vigna, a restituirci questa immagine. Sono le comparse a dire la verità, non le primedonne. E parlano di un uomo generoso e attento che voleva essere informato sulle difficoltà, anche private, delle persone che lavoravano per lui: le malattie, i lutti familiari, le traversie economiche. Ed è questo, tirata la linea, che rende la differenza abissale tra un imprenditore tra i tanti, e un uomo che ha saputo imprimere un’accelerazione spaventosa alle sue fortune.  Il team come famiglia, un gruppo legato da un filo invisibile che sembrava dipanarsi dal suo cuore, con quella capacità di mostrarsi partecipe e perfino vulnerabile, alle sorti di chi era con lui. Il gruppo è questo: è lo specchio, il tratto distintivo del leader.  Se resta opaco, lui non riuscirà a vedere oltre se stesso e trarne quella forza nascosta, non calcolabile, che porta più lontano della stessa meta che si era imposto.

Berlusconi, l’addio

Un uomo generoso ed attento, ecco la lezione di Silvio per i leader o chi vorrebbe essere tale. La cattiva stampa, i corridoi del Tribunale qui possono poco. Non hanno giurisdizione nei ricordi, quando nella vita privata, ci viene restituito il riguardo verso un uomo trattato da nemico in quella pubblica, dove è un parvenu, un bugiardo e un corruttore. Qualcosa, nella narrazione del male, s’incrina. E il silenzio che accompagna un commiato vene allora segnato da un pensiero. Ci si chiede cosa sarebbe accaduto se la parte migliore di quell’indole fosse stata lasciata libera di esprimersi, illuminata dal desiderio di essere riconosciuto e amato, una fragilità di cui era consapevole ed è stata la sua forza. Non sapremo mai cosa sarebbe accaduto se il suo percorso non fosse stato avvelenato dal desiderio di cancellarlo, con il Palazzo di Giustizia descritto come la Linea Maginot, ultimo confine contro un uomo da fermare ad ogni costo, e a costo di rivoltare la sua vita privata come un guanto. Si sono strappati le vesti per l’indignazione, sono sembrati compiaciuti se la stampa estera lo ha descritto come volgare ed inadeguato, e quando i leader europei hanno accennato a lui sorridendo. Forse hanno avuto ragione loro. Forse saranno necessari altri trent’anni per capire, forse non è difficile capire, ora che è finita davvero.

L’epilogo poteva essere la fuga sotto una pioggia di monetine, un’uscita di scena in solitaria, in qualche Paese designato a raccogliere i giorni dell’ esilio. Finisce con il lutto nazionale ed i funerali di Stato, con il Corriere della Sera che non garantisce la pubblicazione dei necrologi, tanti sono i messaggi di cordoglio. La storia finisce come era iniziata, tra gli applausi, capaci di coprire l’odio ed il disappunto, per una volta.

 

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Armando Del Bello