La scomparsa del fantasista della Lazio ha lasciato un vuoto profondo in ogni tifoso che ha cominciato ad amare i colori del cielo in quegli anni, vedere un ragazzo di diciotto anni realizzare i sogni di ognuno di noi, ci faceva credere nel destino
Vincenzo D’Amico, ex centrocampista e bandiera della Lazio, con cui conquistò lo scudetto nella stagione 1973/1974, è morto all’età di 68 anni. Da due anni era malato di cancro e all’inizio dello scorso maggio lo aveva annunciato pubblicamente con un post social in cui annunciava l’inizio della sua partita più difficile.
Giovanissimo, è titolare nella meravigliosa squadra allenata da Tommaso Maestrelli che vince il più irripetibile degli scudetti. Ma saranno gli anni successivi a farlo entrare definitivamente nei cuori di ogni tifoso della Lazio. In maglia biancoceleste ha collezionato 338 presenze e 51 gol in 15 anni di militanza consecutiva, a parte una parentesi al Torino durata soltanto un anno.
Quando durante la partita tra Lazio e Lecce, giocata allo stadio Olimpico, i tifosi biancocelesti presenti in curva Nord avevano esposto un lungo striscione di incoraggiamento nei confronti di una delle ultime bandiere della Lazio, molti di noi si sono arresi all’evidenza. La partita più difficile della carriera di Vincenzino era già tanto se arrivava ai tempi supplementari . D’altronde, quel tam tam mediatico che già circolava lo aveva fatto diventare un grido d’allarme lo stesso ex numero 10 (o numero 11 o numero 9) biancoceleste, con quell’annuncio social che aveva definitivamente spiazzato tutti. Per quelli della mia età, quelli per cui il primo scudetto ha rappresentato l’anno del battesimo allo stadio, le prime trasferte con la famiglia e quella Tribuna Tevere sempre piena e sempre con gli stessi vicini di posto, Vincenzo D’Amico era il sogno diventato realtà. Giovane, bello, talentuoso, con i ricci alla moda e quella sfrontatezza che lo rendeva imprendibile in campo. Per molti, ovviamente, Giorgio Chinaglia è stato il condottiero, l’anima, l’orgoglio e la rivincita sui nemici. Per altri poi è arrivato Bruno Giordano, romano de Roma e i tanti gol che gli facevano vincere la classifica cannonieri, per quella piccola Lazio, falciata dal destino dopo aver toccato il paradiso, rappresentavano l’unico motivo di vanto da raccontare. Ma per quelli della mia generazione Vincenzino ha rappresentato l’ultimo baluardo alla resa, l’ultimo eroe a cui affidarsi, l’ultima bandiera da sventolare davanti agli avversari.
La storia della Lazio è tutta un sali e scendi di emozioni, un ascensore continuo dal trionfo alla sconfitta, dalla gioia alla delusione e quegli anni 80 sono stati un frullatore continuo per chi aveva scelto l’aquila come simbolo da amare. Dallo scudetto incredibile, ma improvviso, allo scandalo scommesse che ci fece sprofondare, fino alla risalita nella massima serie vissuta come un altro scudetto, perchè in quegli anni sapevamo bene cosa significasse essere della Lazio. Vincenzo D’Amico ha accompagnato quegli anni bui ma bellissimi, duri ma intensi, prendendo per mano ognuno di noi. Nella stagione 79-80, quella dello scandalo del calcio, erano rimasti in pochi i titolari di una squadra che comunque non aveva grandi velleità e Vincenzo, con la fascia da capitano al braccio guidò quel manipolo di giocatori rimasti, più alcuni giovani della “primavera”, a un’insperata salvezza che comunque, anche se poi verrà cancellata dalla sentenza della giustizia sportiva, è rimasta per sempre nei nostri cuori.
Quel Lazio-Catanzaro del 30 marzo 1980 e quel gol da posizione impossibile a metà secondo tempo, resteranno indelebili nella mente di chi era alla stadio. Se non sei abituato la serie B può essere un inferno e per la Lazio poteva trasformarsi addirittura in un incubo, ma quel 6 giugno 1982 contro il Varese in casa soltanto quei seimila e poco più presenti allo stadio hanno sentito sulla pelle l’incubo di una nuova retrocessione. Ma Vincenzo ancora una volta decise che la storia della Lazio doveva essere altro e con 3 gol fece riemergere i nostri cuori dalle tenebre e firmò una rimonta epica. L’anno successivo bisognava suggellare una promozione, la Lazio non meritava un altro anno tra i cadetti e sfidare il Milan, anche se soltanto per tornare in serie A, valeva tutto. Quel gol al volo all’ultimo minuto, quando le partite davvero duravano ancora soltanto 90 minuti, resta uno dei boati più forti mai vissuti allo stadio Olimpico. E valeva soltanto un 2.2! Vincenzo c’era, Vincenzo c’era sempre. Come quella doppietta impossibile nel derby contro una Roma infinitamente più forte di noi, ma c’era Vincenzo: punizione e rigore e l’orgoglio era salvo. Vincenzo era questo, era uno di noi, era uno di noi che era riuscito a coronare il sogno, il sogno di indossare la maglia del cuore. Nulla sarà più come prima, oggi quel sogno è svanito, svanito per sempre.