Passato, presente e futuro del Partito Democratico nell’intervista a Piero Fassino, che ha analizzato la situazione del suo Pd all’opposizione.
Intervistato dal Domani, Piero Fassino ha fatto il punto della situazione su governo Meloni, casi giudiziari e, soprattutto, sull’assetto interno del proprio partito, il Partito Democratico.
L’intervista inizia, naturalmente con qualche domanda sulla prima premier donna della storia della repubblica italiana, a cui Fassino risponde banalmente come deve risponde, ovvero da convinto esponente dell’opposizione.
Si parte dalla questione migranti e da un commento sulla strategia meloniana: “Meloni fa propaganda: prima voleva i blocchi navali, poi ha contestato la redistribuzione dei migranti in Europa, ora propone soldi contro campi. Proposta di cui quei paesi sono i primi a diffidare. Forse la accetteranno per prendersi un po’ di soldi. Ma sappiamo tutti che quei campi rischiano di diventare luoghi di ogni violenza. E si pone un problema morale che la nostra coscienza non può ignorare. Il tempo della propaganda sta finendo. Perfino Zaia, presidente leghista del Veneto, ora propone il modello di accoglienza diffusa contro i mega-hub. E dopo tanto tuonare contro migranti, qualche giorno fa, quasi di nascosto, il governo ha licenziato un decreto che legalizza 500mila ingressi di cittadini stranieri perché ci sono 800mila posti di lavoro vacanti”, quindi, secondo Fassino, un coacervo di contraddizioni interne nella gestione del tema migranti.
Non poteva mancare l’argomento “Santanchè, La Russa, Delmastro”, ormai sulla bocca di tutti, da sinistra a destra: “Lasciamo le vicende giudiziarie alla magistratura, la politica fa il suo e i magistrati il loro. La magistratura ha il compito delicatissimo di giudicare i cittadini e lo può esercitare meglio sei cittadini sono sicuri della sua imparzialità. Resta che il governo è debole. E il nervosismo di Meloni dato dal fatto che ne è consapevole. La verità è che Fratelli d’Italia ha raccolto molti voti sfruttando le debolezze dei suoi alleati e la rendita di posizione di essere l’unico partito di opposizione nel tempo del Covid. Ma no ha un progetto per l’Italia e cerca di colmare questo vuoto con richiami identitari e esibizione di muscoli”.
Si passa poi a parlare dell’altra faccia della medaglia, ovvero quell’opposizione appassita, che appare più confusa e frammentata che altro: “L’opposizione c’è, anche se oggi divisa. E tuttavia bisogna sapere che non c’è un Paese al mondo dove chi ha perso le elezioni, sei mesi dopo sia già un’alternativa in sella. Una sconfitta è come una brutta caduta. Non riprendi immediatamente a correre come se nulla fosse. Nel 2001 sono diventato segretario dei Ds dopo una sconfitta pesante dell’Ulivo.Il primo anno è stato un calvario: i girotondi e le piazze di Nanni Moretti, le manifestazioni di Cofferati, tutti ci criticavano. Ma dal 2002 al 2006 i Ds hanno vinto tutte le elezioni: amministrative, regionali, europee e politiche. Anche la costruzione di un’alternativa ha bisogno di tempo. Il che non significa attendere tempi migliori. Bisogna mettersi al lavo subito, ma essere consapevoli che i risultati non sono immediati”, una dichiarazione degna della decennale esperienza politica dell’ex Ds.
Nonostante il Partito Democratico sia stato sempre, fin dalla sua fondazione, un partito di massa, i segretari che lo hanno guidato, non si sono quasi mai rivelati realmente vincenti, soprattutto in termini di risultati politici: “Il Pd è nato nel 2007. Sei mesi dopo si è aperta una crisi economica che per otto anni ha travolto tutte le economie occidentali. Poi è arrivato il Covid. E poi la guerra. E non la stessa cosa essere un partito progressista in tempi di crisi o di espansione. In ogni caso con il suo 20 per cento il Pd è uno dei partiti progressisti europei con maggiori consensi. In Svezia, Austria, Germania, Olanda, Grecia, Francia, i progressisti hanno subito tutti sconfitte. Insomma, tutta un la sinistra europea è chiamata a un profondo rinnovamento. Non si sta in un nuovo secolo semplicemente replicando le politiche del secolo precedente. Quando è nato il Pd volevamo un partito nuovo con un pensiero nuovo per un secolo nuovo. Il tema resta questo”.
Ecco poi il commento sulla Schelin, che Fassino comunica apertamente di non aver sostenuto inizialmente: “Io ho sostenuto Bonaccini perché pensavo che avesse il profilo più adatto per guidare il Pd e poi il paese. Ma ha vinto Schlein: dopo dieci anni di risultati insoddisfacenti e di continui cambi di segretari gli elettori hanno votato per una netta cesura. Ora tutti dobbiamo lavorare perché Schlein ce la faccia. Ma un Pd che voglia tornare a vincere deve cercare un consenso largo. Non dobbiamo accontentarci soltanto di rassicurare l’elettorato di sinistra o recuperare qualcosa dai Cinque stelle o dall’astensione. Non è sufficiente”, una bocciatura indiretta della Schlein? Forse si, dato che l’attuale presidente del Pd ha adottato una strada politica particolarmente sinistrorsa, difficilmente compatibile con gli ideali di un ipotetico elettore scontento del centrodestra. Fassino prosegue, dicendo la sua, sulle svariate correnti interne che popolano il Partito: “Un grande partito tiene dentro uomini e donne che hanno valori comuni, ma sensibilità diverse. Il tema è se le correnti producono idee o sono lo strutturamento per negoziare candidature. Nessuno scommette su un fallimento della segretaria”.
Si conclude su Schlein, per poi commentare l’alleanza con Conte: “Non credo che Schlein sia massimalista. Mi pare che la sua cultura politica, cresciuta nei movimenti, si ispiri ad un radicalismo di tipo americano”. E su Conte: “Per vincere non basta essere “contro”, insieme al M5s. Ci vuole un progetto in cui i cittadini si riconoscano. E nessuno può vincere da solo. Oggi Conte continua a coltivare l’idea di contendere al Pd la leadership del campo progressista. Il voto europeo dirà: se il Pd avrà un differenziale di vantaggio solido, tutti ne dovranno tenere conto. Intanto proviamo a costruire azioni comuni su temi su cui abbiamo posizioni convergenti, dal salario minimo alla difesa della sanità pubblica. E gradualmente allarghiamo il campo delle convergenze”.