Sapore di Mare compie quarant’anni ed Enrico Vanzina ha parlato del film, del suo concepimento e di come siano cambiate le cose.
Nel bene o nel male, Enrico Vanzina ha inevitabilmente influenzato la produzione cinematografica nostrana, che è stata segnata con un solco indelebile dalle sue sceneggiature. La divertita fotografia della società italiana, scattata insieme al fratello regista, ha caratterizzato la sua produzione creativa, che si è concretizzata in sceneggiature, regie e produzioni dal successo difficilmente replicabile.
Sapore di mare quest’anno compie 40 anni ed Enrico Vanzina ha raccontato le esperienze personali, che hanno ispirato uno dei film più iconici dell’estate nel bel paese.
La magia di Sapore di Mare
Con la sua caratteristica ironia, Vanzina ha ricordato Sapore di Mare: “E’ un film nostalgico, romantico. Una sorta di romanzo di formazione: c’è l’amore, il tradimento, i sogni disillusi della vita”. Ecco che, lo sceneggiatore del film, ha tentato di descrivere i motivi dietro il successo straordinario: “Si parla di sentimenti, di sensazioni in cui ognuno ci si ritrova un po’. Altrimenti non ti spieghi come sia possibile che dopo decenni Sapore di mare, ogni volta che viene mandato in onda, incolla le persone alla tv. Ancora viene trasmesso in prima serata. Sarà che gli anni Sessanta piacciono…”. Si parla poi del periodo descritto nel film: “Anni bellissimi, io ero ragazzino e a Forte dei Marmi andavo con mio fratello e mio padre (il regista e sceneggiatore Steno). Il film, se vogliamo, è anche un po’ autobiografico. La mia famiglia, ad un certo punto, si trasferì d’estate a Castiglioncello. Io e Carlo però non mollavamo: prendevamo la Vespa e guidavamo fino al Forte per sentire Mina, Gino Paoli, quando cantavano nei locali. Che tempi e quanti chilometri. Erano gli anni in cui le vacanze duravano mesi, c’era lo spazio persino per annoiarsi e leggere un libro. Erano gli anni delle arene all’aperto. L’arena all’aperto quasi quasi mi commuove”.
Vanzina si addentra nella descrizione dell’emozione provata: “(L’arena all’aperto) Mi ricorda cosa significa davvero il cinema: godersi uno spettacolo insieme ad altra gente, dove il soffitto non è il buio di una sala al chiuso, ma la luce delle stelle. E la colonna sonora di sottofondo è quella delle cicale. L’arena è il luogo dove i giovanissimi – noi lo facevamo – si portavano una copertina da allungare sulle ginocchia, se faceva freschetto. E, là sotto, si trovava il coraggio di accarezzare la mano alla ragazzina che si amava segretamente. Le dita si intrecciavano e nasceva il primo amore”. Vanzina ha anche raccontato di come sia cambiata la sua percezione delle estati a Forte dei Marmi: “Beh le estati di quando si è giovani sono fondamentali per un essere umano. Una volta Leo Benvenuti, mitico sceneggiatore di film di Monicelli, De Sica, Germi e Nanni Loy, mi disse mentre eravamo in taxi: ‘Sai Enrico, in fin dei conti ognuno di noi ha al massimo 20 estati utili… Poi si diventa adulti. E tutto cambia’. Forte dei Marmi per me resta però un posto unico. E uno dei pochi luoghi dove c’è il mare, la pineta e pure le alpi Apuane sullo sfondo”.
Come sono cambiate le cose e il successo del film
Da quei gloriosi anni ottanta è cambiato molto e, anche il celebre sceneggiatore, ha registrato tale metamorfosi: “C’è stato un involgarimento della società. A cambiare il turismo in quei luoghi ci hanno pensato, negli anni passati, i russi carichi di soldi. E così le trattorie sono diventati ristoranti carissimi. I negozi hanno lasciato spazio alle griffe. I locali dove si cantava si sono trasformati nei vari Twiga. Prima, invece, Forte era un posto che teneva insieme la grande e la piccola borghesia. Anche nel film racconto l’amore tra Jerry Calà, rampollo milanese, e Marina Suma, napoletana che in spiaggia la mamma insegue per farle assaggiare la frittata. Un amore pieno di rimpianti”.
Si conclude, parlando dell’immenso successo riscontrato dal film: “Finita la prima proiezione tantissima gente rimase fuori dal cinema a parlare. Ci abbracciavano, si congratulavano. Aurelio De Laurentis si avvicinò e ci disse: ‘Voglio una cosa così, ambientata sulla neve però’. A dicembre uscì Vacanze di Natale. Che anno incredibile l’83. Devo dire che tre volte nella vita ho avuto la netta sensazione di aver azzeccato il mestiere giusto. La prima fu quando in macchina, finite le riprese di Febbre da Cavallo, papà mi sorrise e mi diede una carezza sulla faccia. La seconda fu appunto la sera della première all’Empire. La terza, mi commuovo a dirla… fu quando Carlo mi chiamò per dirmi che si era ammalato. E per consolarmi, disse: ‘Enrico non ti preoccupare per me: io ho avuto una vita bellissima…‘”.