E’ morta la notte scorsa nel carcere torinese di Vallette, si rifiutava di prendere cibo e acqua dal 22 luglio
Si è lasciata morire per disperazione. Da sola, senza mangiare, senza bere. Così aveva deciso, così, nel silenzio più assoluto, è stato. Una detenuta rinchiusa nel carcere Vallette di Torino è morta, ha deciso di finirla così. E’ dal 22 luglio, giorno in cui è stata condotta nel carcere torinese per scontare una condanna di dieci anni, che non mangiava e non beveva. Non ce la faceva a sopportare di stare lì dentro e così ha deciso di farla finita.
La donna è morta nella notte, è stata ritrovata dagli agenti di custodia alle tre del mattino, nella sezione del penitenziario dove era detenuta e dove era, comunque, tenuta sotto stretta osservazione dai medici. Forse, vedendo quanto è accaduto, non proprio nel rigore e nell’attenzione più assoluta. Da quando era entrata, il non voler mangiare e bere, aveva suscitato grande preoccupazione all’interno dell’istituto. Sin dal primo giorno aveva rifiutato acqua e cibo, e categoricamente non aveva acconsentito a nessuna terapia di sostegno.
Qualche giorno fa era intervenuto il 118 ed era stato deciso un ricovero d’urgenza all’ospedale, ma la donna aveva rifiutato anche questa possibilità e non si è potuto fare nulla. Forse è stato un tentativo da parte di chi gestisce il carcere di porre un piccolo rimedio a quanto stava avvenendo. La polizia e gli agenti dell’Istituto penitenziario stanno indagando sul motivo che ha indotto la donna ad una scelta così drammatica, drastica e tragica.
Lei si chiamava Susan John, era questo il suo nome, e da poco era stata condannata a dieci anni e otto mesi di carcere per tratta. Susan aveva un figlio piccolo che ha dovuto lasciare a casa con il marito. Era già accaduto con il caso Cospito che, davanti a simili scelte, si potesse avviare un iter per sostenerla in maniera forzata, ma Susan ha sempre negato questa possibilità con grande lucidità e non è stato possibile fare quel qualcosa in più per impedire che ciò accadesse. Il fatto, poi, che la donna rifiutasse, non solo il cibo, ma anche l’acqua, non ha fatto altro che accelerare la morte. E’ stata disposta l’autopsia. Susan era disperata, si professava innocente, non faceva che dirlo sin dal primo giorno. Gli agenti di polizia penitenziaria l’hanno trovata morta in cella, l’unico cosa che aveva vicino a sé era un biglietto: “Se mi succede qualcosa chiamate il mio avvocato”. Avrebbe terminato di scontare la sua pena nell’ottobre 2030, ma Susan si è arresa, era disperata e sola. E ha deciso di morire.