E’ ferragosto e sembra impossibile non ricordare uno dei capolavori più rappresentativi del cinema italiano: Il Sorpasso di Dino Risi, con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant.
Come ogni estate… come ogni ferragosto, se avete mai preso visione de Il Sorpasso, sembra impossibile non ripensare almeno per qualche istante a quei tragicomici quadri filmici firmati da Dino Risi, nei quali domina prepotentemente la figura di Vittorio Gassman e vaga sommessamente il personaggio interpretato da Jean-Louis Trintignant.
Il Sorpasso è probabilmente l’incontro più riuscito nel panorama nostrano, ma non solo, tra dramma e commedia, tra la rappresentazione filmica del boom economico e la malinconica evoluzione di due parabole esistenziali tanto diverse, quanto inevitabilmente legate da un infausto destino. Il film, difatti, mette in scena la rappresentazione di due personaggi tipici, dotati comunque di una propria caratterizzazione specifica.
Un film tanto popolare, quanto raffinato
Se caratteristica comune dei film della commedia all’italiana del secondo novecento è di rappresentare un archetipo della nascente classe media, nelle sue caratteristiche più evidenti e facilmente individuabili dal grande pubblico di massa che si riversava nei cinema, ne Il Sorpasso questo elemento è presente, tuttavia viene arricchito da una scrittura più attenta e precisa della psicologia dei personaggi, che finisce per elevare all’inverosimile gli esiti filosofici della pellicola. Bruno Cortona, il personaggio interpretato da Vittorio Gassman, rappresenta in tutto e per tutto la furbizia e l’esuberanza di quegli italiani, che avevano trovato il modo per beneficiare del boom economico di fine anni 50 anni prendendo sostanzialmente il posto di parassita della società.
Una condotta di vita controversa, che si scontra inevitabilmente con quella del personaggio di Roberto, interpretato da Jean-Louis Trintignant, che viene prelevato di forza dalla propria abitazione da un vitale e ingombrante Gassman, intento a recuperare un ferragosto scemato a causa di un ritardo a un appuntamento con degli amici. I due iniziano un viaggio con tappa indefinita nelle campagne e nel litorale laziale, scoprendosi a vicenda e, soprattutto, riuscendo a scoprire se stessi, attraverso lo sguardo dell’altro. Le bolle esistenziali in cui, fino a quel momento, si erano rintanati i due, scoppiano con l’incontro di un diretto opposto ed è così che il film conosce picchi di riflessione davvero poco prevedibili nelle prime divertite fasi della sceneggiatura.
Un film insospettabilmente intimo, che riesce con inaspettata grazia a far convivere l’efficace e archetipica rappresentazione di un’Italia agli inizi dello spasmodico consumismo che avrebbe caratterizzato gli anni a venire, con l’approfondimento esistenziale di due uomini diversi in tutto, fatalmente legati dalla tormentata ricerca di un senso univoco: “A Robbè… ma che te frega delle tristezze. Sai qual’è l’età più bella? E’ quella che uno c’ha, giorno per giorno, fino a quando schiatta, si capisce…”, “Sai Bruno, mi sono accorto che è quasi più facile diventare amici di un estraneo, rispetto a una persona che conosci da tanto tempo”.