Oppenheimer è finalmente giunto anche nelle sale italiane ed è il momento di scoprire se Christopher Nolan ha accontentato soltanto i fan più fedeli o ha scelto di rivolgersi anche al resto della platea
Nolan è tornato… o forse dovremmo dire, è giunto un nuovo Nolan… Se è tornato, di certo, lo ha fatto diversamente, come di ritorno da un lungo viaggio, nel quale pare aver compreso qualcosa di fondamentale. Forse, adesso, il regista più rappresentativo del terzo millennio, ha davvero compreso qual è il retrogusto filmico che ha intenzione di lasciare all’immaginario collettivo dei cinefili che verranno.
L’impressione, durante la visione di Oppenheimer, è che il regista britannico si sia finalmente reso conto che il suo cinema merita di scavalcare gli asettici vizi del personaggio costruitosi nelle ultime stagioni della sua filmografia.
E’ così che Tenet lascia spazio a Oppenheimer, e, quindi, un film mediocre e confuso, viene prepotentemente oscurato dalla potenza di un grande film, un film coraggioso, con cui Nolan decide sorprendentemente di ignorare le esigenze del grande pubblico, in virtù di una nobile ricerca espressiva. Se Tenet appariva come uno sterile esercizio di stile, francamente mal riuscito, nel quale emergevano prepotenti le abitudini di un Nolan tragicamente asservito alle esigenze spettatoriali del pubblico contemporaneo, ecco che Oppenheimer pare rinnegare con convinzione tale approccio, rischiando persino di allontanare generose fette di quel pubblico, fin troppo affezionato alla nolaniana ricerca dell’automasturbazione mentale, tipica degli adolescenti nerd. Stavolta, Nolan è diventato adulto.
Oppenheimer, difatti, è un film storico, riflessivo, che, tuttavia, non rinuncia a quella genuina necessità di veicolare passione per un argomento specifico. La narrazione filmica dell’ossessione per la fisica, è ottenuta mediante una messa in scena sempre comprensibile e ritmata, che non tenta di ottenere, come accade di solito con il regista di Inception, la bocca aperta di un quattordicenne con indosso una maglietta della Marvel, ma preferisce stimolare la mente di uno spettatore diverso, più interessato all’approfondimento psicologico di un personaggio, rispetto all’ottusa risoluzione di un enigma forzatamente complesso.
Il film con protagonista Cillian Murphy, è a tutti gli effetti un biopic di alto livello, capace di indagare con grazia e delicatezza all’interno della controversa mente di un genio. Le numerose sfaccettature della figura di Julius Robert Oppenheimer, sono svelate con eleganza e precisione, attraverso una sceneggiatura finalmente in grado di porre reali questioni etico-filosofiche, alla quale si somma l’acuta selezione del proprio attore protagonista. Perché si, Cillian Murphy è inevitabilmente uno dei colpevoli principali della grandezza di questa pellicola. Anche in questo caso, come per Nolan, alle ragazzine giunte in sala, attirate dalla nomea di sex symbol, non verrà concesso niente di tutto ciò, ma, al contrario, sarà chiesto di accendere il cervello, per cogliere i risultati di una performance notevole. Lo sguardo da eroe maledetto di Murphy viene sapientemente riproposto, tuttavia, in questo caso, è impreziosito da un ventaglio di sfumature psicologiche inedite. E’ così che, la feconda collaborazione tra questi due artisti, determina il raggiungimento di quella profondità psicologica, necessaria alla disamina di uno degli avvenimenti più importanti del novecento e, forse, della storia.
La tormentata danza tra l’affermazione del proprio ego e la delicata dimensione etica del compito assegnato, viene tradotta su schermo con sorprendente sobrietà e, di conseguenza, con gradita efficacia. Non serve a nulla caricare la rappresentazione di un personaggio già sufficientemente carismatico, ne spezzettare confusamente la rappresentazione filmica della vicenda, alla ricerca di uno stile forzatamente barocco. Al contrario, tanto il regista, quanto il suo interpretate principale, decidono di fare un passo indietro, di scaricare il proprio ego, così da caricare di significato e senso la propria creazione. La dimostrazione definitiva della sofferta maturità profilmica del caro vecchio Chris, è manifestata dalla gestione della dimensione visiva: questa volta, infatti, Nolan seleziona con cura e precisione le rarissime sequenze visivamente sovrabbondanti, riuscendo a donare reale valore alla capacità di stupire con le immagini. La costruzione di uno dei climax narrativi e visivi più riusciti di sempre, parte dal marketing, per giungere alla sala, dove, fino ad un preciso momento, tutti hanno trattenuto il respiro, in attesa di quel momento… di quell’istante che si, vale il prezzo del biglietto, ma che poi, di fatto, non esaurisce il potenziale di un film capace anche di far riflettere, subito dopo aver fatto aprire qualche bocca.
Dunque… se avevate intenzione di recarvi in sala esclusivamente per aprire la bocca davanti a qualche esplosione, vi consigliamo di andarvi a rivedere Tenet, muniti del vostro fido taccuino degli appunti… Se al contrario, avete voglia di assistere a qualcosa che assomigli ad un capolavoro, potete anche lasciare il taccuino a casa, perché a questo giro vi basteranno gli occhi e una massiccia dose di intelligenza emotiva, per godere fino in fondo di un grande film.