Papa Francesco è tornato a Roma dopo avere visitato la Mongolia e lanciato un messaggio sottotraccia, ma forte e chiaro, ai vicini cinesi. I temi toccati nell’intervista in aereo sono tanti, dalle periferie agli imperialismi. Sulla Russia e le critiche alle sue parole rivolte agli studenti russi, tuona: “La cultura russa non va cancellata”. Sul prossimo viaggio papale invece scherza, lanciando però una vera e propria bomba al vetriolo e facendo sollevare più di un sopracciglio: “Se in Vietnam non andrò io, andrà Giovanni XXIV…”
Francesco come di consueto ha conversato con i giornalisti mentre l’aereo che lo riportava a Roma da Ulan Bator sta ancora sorvolando le steppe della Mongolia. Un viaggio diverso dal solito, in cui il Papa è apparso particolarmente stanco, chinato sul suo bastone.
“L’idea di visitare la Mongolia mi è venuta pensando alla piccola comunità cattolica. Faccio questi viaggi per visitare le comunità e anche per entrare nella mistica di un popolo”, è quanto detto in apertura”. Mentre, al contrario, “l’idea di visitare la Mongolia mi è venuta pensando alla piccola comunità cattolica. Faccio questi viaggi per visitare le comunità e anche per entrare nella mistica di un popolo”, è quanto detto in apertura. Subito però Francesco chiarisce il dissidio con gli ucraini che ha montato le polemiche giornalistiche nelle settimane precedenti. Le sue parole sulla “Grande Russia”, spiega, non riguardavano di certo il tema dell’imperialismo ma indicavano una cultura centrata sul dialogo e che “non va cancellata per problemi politici”.
“Era un dialogo con i giovani russi. E alla fine io ho dato loro un messaggio che ripeto sempre: di farsi carico della loro eredità”, ha spiegato. “Questo lo dico dappertutto e questo è stato il messaggio”. “Per esplicitare l’eredità, ho detto l’idea della Grande Russia, perché l’eredità russa è molto buona, è molto bella. Pensa al campo delle lettere, della musica, a un Dostoevskij che oggi ci parla di umanesimo maturo, a questo umanesimo che si è sviluppato nell’arte e nella letteratura. Il terzo punto forse non è stato felice, ma parlando della Grande Russia in senso non tanto geografico, ma culturale, mi è venuto in mente quello che ci hanno insegnato a scuola: Pietro I, Caterina II”, ha aggiunto. “E quale eredità ha dato la Grande Russia: la cultura russa è di una bellezza, di una profondità molto grande, e non va cancellata per problemi politici. Hanno avuto avuto anni bui in Russia, ma l’eredità è sempre rimasta”.
Il Papa è poi entrato nel merito delle vicende italiane di Palermo e Caivano per focalizzare l’attenzione sul tema del degrado delle periferie. “Si deve andare avanti andare lì e lavorare lì, come si faceva a Buenos Aires con i sacerdoti che lavoravano da queste parti”, ha tuonato. “Un’equipe di sacerdoti con un vescovo ausiliare alla testa e si lavora lì. Dobbiamo essere aperti a questo, i governi devono essere aperti, tutti i governi del mondo, ci sono delle periferie che sono tragiche”, ha raccontato. “Dobbiamo interloquire con le periferie e i governi devono fare la giustizia sociale vera, una vera giustizia sociale con le diverse periferie sociali e andare a interloquire anche con le periferie ideologiche, perché tante volte è qualche squisita periferia ideologica quella che provoca le periferie sociali. Il mondo delle periferie non è facile“.
Mentre entrando nel merito dei rapporti con Pechino, Bergoglio ha invitato i cittadini cinesi, di cui alcuni fedeli erano presenti alla celebrazione nella capitale mongola, a non pensare “che la Chiesa dipenda da un’altra potenza straniera”. “Personalmente ho una grande ammirazione per il popolo cinese, i canali sono molto aperti per la nomina dei vescovi e c’è una commissione che da tempo lavora con il governo cinese e con il Vaticano. Poi ci sono alcuni preti o intellettuali cattolici che sono invitati spesso nelle università cinesi a tenere corsi. Credo che dobbiamo andare avanti nell’aspetto religioso, per capirci di più e perché i cittadini cinesi non pensino che la Chiesa non accetti la loro cultura e i loro valori e dipenda da un’altra potenza straniera. Questa strada amichevole la sta facendo bene la commissione presieduta dal cardinale Parolin, stanno facendo un bel lavoro. Anche da parte cinese i rapporti sono in cammino. Io ho un grande rispetto per il popolo cinese”.
Il dialogo si è chiuso però con una freddura destinata a far parlare, e non poco, nelle prossime settimane. Rispondendo a una domanda sui prossimi viaggi, Bergoglio, come di suo solito, scherza ma forse non troppo. “Sul viaggio in Vietnam, se non andrò io, di sicuro andrà Giovanni XXIV! Ma è sicuro che ci sarà perché è una terra che merita di andare avanti e ha la mia simpatia”, dice. Un messaggio al collegio cardinalizio, a orientarsi cioè su un nuovo Pontefice che ricordi, per caratteristiche, Angelo Roncalli? Un invito, a chiunque sarà eletto, a prendere questo nome e collocarsi in questa scia di pensiero? Oppure semplice ironia, insomma, “scherzi da Papa”? L’universo degli analisti cattolici e vaticani, si sa, non dorme mai, e non c’è stato tempo per Francesco di atterrare a Roma che già la macchina delle ricostruzioni rischia di mettersi in moto.