Il quotidiano La Repubblica ha parlato con il militare che andò in Calabria: “Per me questa storia è un tormento”. Fu ascoltato nel processo e disse le stesse cose anche di più e Notizie.com ha sentito l’audio integrale
Una storia nella storia. Di quelle che fanno pensare e riflettere più di tante altre parole, commenti e rivelazioni fatte in passato e in questi giorni dopo le parole di Giuliano Amato che hanno acceso più di un riflettore sulla vicenda di Ustica e della strage di 81 persone che sono morte la sera del 27 giugno del 1980 mentre volavano sul Dc9 Itavia. “Questa storia per me è stato un tormento: 43 anni di tormento. Quando ho ascoltato, perché i miei occhi non mi fanno più il regalo di poter leggere le parole di Amato ho pensato: finalmente. Magari quando andrò anche io in cielo, dovessi incontrare anche uno solo di quegli 81 poveretti che stavano sull’aereo, non mi sputeranno in faccia. Per aver visto. E non aver fatto nulla…”. A parlare non è uno qualunque, ma l’ex maresciallo dell’Aeronautica militare Giulio Linguanti, in servizio nell’arma dal 1957 al 1986, come lui stesso ha detto davanti ai magistrati il 22 maggio del 2002 durante il processo relativo ai depistaggi relativi alla strage di Ustica del 1980.
Linguanti è un personaggio, ma soprattutto un teste che chi si occupa di Ustica da anni conosce benissimo e sa bene che tipo d’importanza abbia all’interno della vicenda. Si tratta di un ex maresciallo dell’Aeronautica Militare che venne mandato il 18 agosto sulla Sila per verificare e controllare un aereo caduto da quelle parti. Appena arrivò sul posto insieme ai suoi colleghi e ai carabinieri si rese subito conto che non era un aereo normale, ma un Mig libico, con tanto di cadavere ancora a bordo. “Ero caposezione all’Aeronautica a Bari. Mi occupavo del parco auto e assicuravo il servizio h24. Un pomeriggio un mio superiore, il colonnello Tramacere, mi chiamò e mi disse: Linguanti, in Calabria è caduto un aereo. Roma vuole sapere. Vai lì e non ti muovere. Caricai in macchina un altro sottufficiale e andammo”, ha raccontato nell’intervista a Repubblica l’ex maresciallo, ma c’è di più.
Nell’audizione del 2002 rivelò: “Consegnai una falange e parte del pene del libico morto a un medico per analizzarlo…”
Nell’intervista a Repubblica, il maresciallo Linguanti parla senza freni: “Io con il Mig ci sono stato un mese. Era in un dirupo, lungo quasi due chilometri, e si trovava a metà. Era incastrata questa carcassa e sembrava quasi intera, come fosse un camion rivoltato. Quando la vidi per la prima volta pensai: come fa a essersi schiantato in un dirupo ed essere integro? Quando lo raggiungemmo a piedi ebbi la conferma che ci stavano prendendo in giro: quell’aereo non era caduto lì. E soprattutto il pilota non era morto da 24 ore come dicevano. Venni incaricato di consegnare parti del corpo del cadavere, una falange, parte del pene credo e altro a un medico che venne da Roma“.
E su questo il maresciallo non è che abbia tanti dubbi, tanto che a Notizie.com, che ha ascoltato l’audio dell’udienza integrale del maresciallo Linguanti che fece il 22 maggio del 2002, disse: “Quel cadavere stava lì da più di due mesi, il fetore che emanava era da stare male, un carabinieri che stava con noi, ma anche altre persone si sentirono male e nonostante facesse caldo, perché era agosto, ma non così tanto da accelerare quel tipo di processo di decomposizione. Quell’aereo stava lì da più di due mesi, non poteva essere caduto intorno a ferragosto“.
“Venne uno della Cia e si portò via la scatola nera…”
Sempre dall’udienza disse (le due dichiarazioni non si discostano da quelle di repubblica solo che sono più dettagliate). “Appena lo vidi, come primo impatto pensavo fosse autocarro caduto dal dirupo, anche perché era in una posizione strana, poi da vicino si notavano le ali, era un velivolo appeso come un salame, ma non era caduto lì, qualcuno lo spostò, almeno questa era la mia sensazione e quello che si diceva. Notai anche sulla coda dei fori di proiettile avevano fori di due-tre cm, c’erano anche dei cannoncini, ma non sono un esperto quindi non posso dire se fossero armati o meno, lì si diceva che non lo fossero“.
Poi ancora dall’udienza del 22 maggio un’altra rivelazione: “Rimasi lì per parecchio tempo e c’era un via vai di personalità, anche un militare che veniva dall’America, non so il grado, anche se poi dalla televisione venni a sapere che era uno della Cia che insieme ad alcuni militari del Sismi visonò l’aereo. Io ero lì, ma non vicino a loro. La scatola nera? Io non l’ho vista, ma si diceva che l’avesse preso proprio quell’americano e portata lì da loro”.