Tiba al-Ali è una youtuber irachena vittima di femminicidio, e il dramma del suo assassinio in queste ore sta facendo il giro del mondo. Una vicenda che fa emergere come le leggi a protezione delle donne dalla violenza siano spesso deboli o antiquate. La giovane, infatti, di soli 22 anni, era una star in Turchia, ma appena è tornata nel suo Paese di origine è stata strangolata dal suo stesso padre. Che peraltro ha ricevuto una pena sostanzialmente lieve, che ha generato un’ondata di indignazione tra le donne irachene e tra gli attivisti per i diritti delle donne.
Tiba era infatti non solo una ragazza giovane, ma particolarmente vivace e divertente, doti che avevano ben presto garantito il suo successo sulla piattaforma di contenuti web. I video in cui affrontava tematiche inerenti la sua personale vita sono stati subito un successo.
Aveva aperto il suo canale non appena si era trasferita in Turchia dall’Iraq, a soli 17 anni, lo scorso 2017. Nei suoi video raccontava come viveva la sua vita indipendente, con il suo fidanzato e i suoi amati trucchi. Raccontava di come amasse quel nuovo stile di vita che aveva trovato in Turchia, dove si era trasferita in un primo momento per migliorare la sua istruzione e dove poi aveva deciso di rimanere. Era quindi felice, e questo faceva in modo che i suoi video ricevessero migliaia di visualizzazioni.
Suo padre, Tayyip Ali, non era però d’accordo con la sua decisione, né tantomeno con quella di sposare il fidanzato di origine siriana, con il quale viveva a Istanbul. Quando lo scorso gennaio è però tornata in Iraq per sostenere la squadra di calcio del suo paese, nella Coppa del Golfo Arabico, la sua famiglia ha colto l’occasione per mettere in atto il diabolico piano di vendetta. Prima, è stata rapita, poi drogata e infine il padre Tayyip Ali l’ha strangolata a morte nel sonno. Era lo scorso 31 gennaio, e l’uomo si è consegnato alla polizia dopo l’omicidio.
Un crimine che però, e qui sta il nodo paradossale della vicenda, non è stato considerato premeditato ma fatto rientrare tra i cosiddetti delitti d’onore, consentiti dal codice pensale iracheno come attenuante per i crimini violenti commessi contro i familiari, che hanno permesso di infliggere all’uomo una pena di soli sei mesi. Scatenando proteste in tutto l’Iraq. La ragazza aveva un seguito di 20mila follower, che sono cresciuti dopo la sua morte, rendendola in qualche modo un simbolo postumo della battaglia in difesa delle donne.
Secondo l’Onu, ogni anno 5mila donne e ragazze in tutto il mondo vengono uccise da familiari commettendo crimini che poi vengono ricompresi nella fattispecie del delitto d’onore. L’invito della missione delle Nazioni Unite in Iraq, dopo il crimine, al governo iracheno è di “sostenere le leggi e le politiche per prevenire questi reati, ad adottare tutte le misure necessarie per affrontare il problema dell’impunità garantendo che tutti gli autori di tali crimini siano consegnati alla giustizia e che questi diritti siano protetti”. Ma solamente 5 giorni dopo la morte di Tiba, le forze di sicurezza irachene hanno impedito a 20 attivisti di manifestare davanti al Consiglio giudiziario supremo a Baghdad.