Francesco Pira, sociologo e professore associato all’Università di Messina, in esclusiva ai nostri microfoni: “E’ arrivato il momento di assumersi le responsabilità”.
Nella Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio la nostra redazione ha contattato Francesco Pira, professore associato di sociologia dell’Università di Messina, per analizzare gli ultimi dati allarmanti sui tentativi da parte dei più giovani di togliersi la vita.
Professor Pira, i tentativi di suicidio tra gli adolescenti sono in forte aumento. Come possiamo fotografare questi numeri?
“Io non ho molti dubbi sul perché. Anche dalle mie ricerche viene fuori una adolescenza e preadolescenza molto fragile. Inoltre, bisogna dire che oggi, a differenza del passato, buona parte delle devianze sono persecuzioni che vengono attraverso la rete e creano situazioni di violenza psicologia e morale. Accanto a questo c’è anche il tema dell’isolamento. Ormai si è creata una barriera tra genitori e figli. Tutto ciò determina un bisogno di ascolto che non viene esaudito e si arriva a prendere decisioni anche definitive“.
Il sociologo Pira: “Non c’è più l’educazione ai sentimenti e alla responsabilità”
La colpa di chi è?
“La società ha sicuramente delle responsabilità e ognuno di noi deve assumerle. Purtroppo oramai c’è una situazione di crisi di valori e si mette tutto in discussione“.
Prima parlavamo della rete. I giovani di oggi oramai la maggior parte del loro tempo al pc o davanti ai videogiochi e le relazioni sociali sono quasi pari a zero. Quanto questo cambiamento ha inciso sui tentativi di suicidio?
“Io posso dire che ormai sono cambiate le relazioni sociali. Non c’è dubbio che i social media hanno portato svantaggi e vantaggi. Ma qui il problema non è il meo, ma come viene utilizzato il mezzo. Purtroppo ormai i genitori di oggi, che sono i ragazzi degli anni ’80, puntano a dare qualsiasi risposta dal punto di vista economico, ma non in termini di qualità di educazione. La mia più grande paura, infatti, è quella che non c’è più l’educazione ai sentimenti e alle responsabilità“.
La scuola può avere un ruolo sicuramente importante.
“Certamente, ma nella scuola ormai troviamo quello che ci mettiamo. Se noi investiamo in educazione e formazione abbiamo dei risultati. Se continuiamo a disinvestire e poi diamo la colpa agli altri le cose non cambiamo. C’è un problema molto serio che è quello della dispersione scolastica. A Belluno, per esempio, molti ragazzi dai 6 ai 16 anni rinunciano alla scuola dell’obbligo per fare gli influencer. Tutto questo presuppone che c’è un problema con i genitori, che non sono più in grado di garantire una educazione di qualità ai propri figli. E anche questa spinta fortissima alla violenza nasce dai video estremi che circolano in rete. Ognuno di noi deve fare la sua parte, ma se si prosegue a non assumersi le responsabilità non si va da nessuna parte“.
Mettere delle restrizioni ai video online potrebbe essere un primo passo?
“Io penso che dobbiamo lavorare per una nuova cultura. Inutile mettere i limiti nazionali in un sistema sovranazionale. Abbiamo fatto leggi su femminicidi, cyberbullismo e revenge porn, ma i casi ancora ci sono. Il problema lo si risolve partendo dal basso. La strada non deve essere solo reprimere, ma anche prevenire e bisogna farlo con task force interdisciplinari“.