Dopo l’attacco di Hamas e la ripresa violenta delle ostilità con Israele, tutti i luoghi sensibili della Capitale sono stati messi sotto sorveglianza speciale
Al ghetto di Roma l’allerta e’ altissima. I livelli di sicurezza sono doverosamente aumentati. Massima sorveglianza intorno alla Sinagoga, ma dopo gli attacchi terroristici di Hamas a Israele, ora anche la scuola è sorvegliata speciale. Come sta la comunità ebraica che vive nel ghetto? Cosa pensano le persone che hanno amici o parenti in Israele? Siamo andati con le nostre telecamere nel cuore del ghetto di Roma, dove ci sono ristoranti che hanno fatto la storia nella Capitale e abbiamo fatto una lunga e intensa chiacchierata con Angelo Di Porto, titolare della Taverna del Ghetto.
Impossibile continuare a essere ambigui
Quando siete venuti a conoscenza dell’attacco sferrato sabato mattina nel deserto da Hamas che sensazioni avete provato?
“Ricordo con estrema nitidezza purtroppo il momento in cui sono venuto a conoscenza del vile attentato di Hamas e della fazione terrorista che domina l’area di Gaza. Purtroppo questo è un momento in cui non si può essere più ambigui e non si può più parlare chiaro da che parte stare. Israele dalla sua costituzione è stata continuamente minata proprio nella sua esistenza. Ricordiamo che Hamas ha nella sua carta costituente la distruzione dello stato di Israele e che i suoi capi agiscono tramite attentati anche sui civili. Le drammatiche immagini, soprattutto quelle nel kibbutz, dove sono state sgozzati e decapitati bambini e i tanti deportati civili, come tutti quelli presenti nel concerto nel deserto, tra i quali c’erano anche dei semplici turisti, non possono consentire altre opinioni se non quelle di combattere e difendere lo strato di Israele e la sua stessa esistenza”.
Buona parte dell’opinione pubblica è dalla parte di Israele. In questi giorni si cerca però di fare una differenza tra Hamas e la Palestina, abitata anche da tranquilli civili.
“Il punto focale è proprio questo. La realtà è proprio che a Gaza, una delle zone più densamente popolate, la gente civile vive nel terrore per la presenza di Hamas. La popolazione è ostaggio, non di Israele come potrebbero pensare in tanti, ma dello stesso Hamas, che non dà assolutamente loro voce, subendo così per primi le ricadute di questa situazione. E’ triste dirlo, ma ora Israele ha la necessità di reagire andando a colpire quegli obiettivi militari, ma è impensabile escludere che ci andranno di mezzo anche dei civili, soprattutto quando scatterà l’incursione via terra e qualche civile potrà rimanere coinvolto. Purtroppo è il prezzo da pagare per difendere la popolazione sia israeliana che quella di Gaza”.
Vivere sotto attacco
Come sta vivendo la comunità ebraica di Roma questa situazione? Le Istituzioni in questi giorni hanno fatto sentire la vicinanza dell’Italia a tutto il popolo ebraico che vive a Roma, con il rischio di un’escalation di attentati anche fuori dai confini di Israele.
“La paura, l’allarme e lo sconcerto ci sono sempre, perchè buona parte dei miei corregionali che abitano qui alla Diaspora, la più antica comunità ebraica in Europa e nel mondo, ha parenti a casa. Io per primo ho due cugini che sono stati chiamati come riservisti e quindi siamo tutti in pensiero, tanto per i civili quanto per i militari. E’ stata importante una solidarietà trasversale di tutte le parti politiche, è stato importante presidiare il territorio come è stato deciso dal governo Meloni. Una presenza che noi nel ghetto sentiamo molto. L’allarme però resta molto alto, noi ci auspichiamo che possa terminare prima possibile questo conflitto, per salvaguardare soprattutto i civili”.
Il presidente della communita ebraica a Roma ieri ha utilizzato un’espressione forte per spiegare la vostra situazione: “Abbiamo paura, ma noi siamo abituati a vivere nella paura”.
“E’ la verità. Noi da quando siamo nati, quando frequentiamo le sinagoghe o le scuole, siamo abituati a presidiare perchè sappiamo di essere sempre sotto possibile attacco. Oggi quindi non credo più che l’ebreo attuale si faccia rappresentare come vittima senza difendersi e porgere l’altra guancia. Lui sa che deve combattere, e presidiare per difendere la sua stessa esistenza. Come diceva Albert Pagani: “Mi difendo quindi sono”, capiamo come ci potrebbe essere più comprensione nel vedere l’ebreo vittima, ma speriamo che ci sia anche la stessa comprensione nel vedere come l’ebreo cerchi di difendere se stesso e la propria stessa esistenza”.
Intervista a cura di Luigia Luciani