E’ il figlio di un sopravvissuto di Auschwitz e tra i fautori degli accordi di Oslo: “Ogni vita conta”
Foto e video sconcertanti. Immagini che fanno il giro del mondo e fanno riflettere e anche orientare la comunità internazionale. “È diventata anche una guerra di parole e di immagini che peserà sull’evoluzione del conflitto“, a parlare in questo modo è Dominique Moïsi, consigliere speciale dell’Institut Montaigne, figlio di un sopravvissuto di Auschwitz, è stato anche tra coloro che hanno lavorato a fianco dei protagonisti degli accordi di Oslo.
Come è successo in Ucraina, ma ancora prima in Siria e in altri conflitti, anche in questo caso in Israele e Palestina, la guerra delle immagini sposta l’opinione pubblica e da un certo punto di vista orienta anche le varie situazioni che si vengono a creare. Moisi al quotidiano La Repubblica spiega: “L’Occidente era unito dietro l’Ucraina, con poche eccezioni, mentre il Sud globale prendeva le distanze dall’Occidente. Ciò che sta accadendo in Medio Oriente, a livello emotivo, è la guerra in Ucraina all’ennesima potenza. Succede perché c’è un conflitto di memoria. Da un lato, il 7 ottobre la comunità ebraica ha vissuto un pogrom sanguinoso e barbaro, nella stessa terra di Israele. E dall’altro, ci sono le comunità musulmane che rivivono la sensazione che una vita palestinese conti meno delle altre. Da ogni parte, si cerca di scatenare le emozioni“.
Per Moisi non ci sono dubbi su quello che sta avvenendo e quello che soprattutto potrebbe avvenire da qui a breve: “Il dilemma di Israele oggi è quello di ristabilire la propria credibilità strategica senza isolarsi completamente. Gli israeliani sono consapevoli che il sostegno dell’Occidente è forte, ma che può oscillare anche attraverso la battaglia delle immagini”.
“Israele sta cercando di limitare il più possibile le vittime collaterali a differenza di Hamas – aggiunge Dominique Moisi – che chiede agli abitanti di restare per moltiplicare il numero delle vittime, usandoli in realtà come arma di propaganda e, più concretamente, come scudi umani“. Sull’eventualità che ci possa essere un’operazione diversa dal poter entrare a Gaza adesso o in futuro, Moisi, è abbastanza certo: “No, non c’è. Hamas deve subire una sconfitta massiccia, come l’Isis o Al Qaeda. Per Israele è una questione di sopravvivenza. Ci sono però due dilemmi. Il primo è come rispondere al trauma senza dimenticare le lezioni del passato. Penso all’America, alla reazione militare eccessiva dopo gli attentati dell’11 settembre 2001″.