La guerra ha le sue regole. Anche non scritte. Non accade però a Gaza, dove 2 milioni di persone, donne, bambini, fragili, ma anche soccorritori, sono in preda alla fame e alla sofferenza. Senza luce, acqua, carburante e senza nemmeno un luogo sicuro in cui stare. Tommaso Della Longa, portavoce della federazione internazionale CRI, in esclusiva a Notizie.com, ci ha descritto il disastro umanitario che si consuma mentre nella Striscia di Gaza
5.087 palestinesi uccisi in attacchi israeliani dal 7 ottobre, tra cui 2.055 bambini. Lo ha rivelato il ministero della salute di Gaza, aggiungendo che 15.273 sono stati feriti. Il ministero ha anche detto che 436 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani nelle ultime 24 ore, tra cui 182 bambini, con la maggior parte delle vittime nel sud della Striscia di Gaza.
Ma intanto la guerra purtroppo prosegue: “Hamas andrà avanti fino a una grande vittoria contro Israele e non ha quindi alcuna intenzione di arrendersi, come aveva invece suggerito il portavoce internazionale delle Forze di difesa israeliane (Idf) Jonathan Conricus in una intervista all’Abc”. Lo ha chiarito il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, denunciando che: “i massacri compiuti dall’occupazione cercano di nascondere il loro fallimento di fronte alla resistenza”. Haniyeh ha quindi definito gli attacchi del 7 ottobre scorso contro Israele come “un colpo devastante” e “un atto glorioso”, ma anche “una pietra miliare e una svolta nella storia del conflitto” israelo-palestinese. I miliziani di Hamas, ha sottolineato, “hanno demolito la dottrina della sicurezza dell’entità sionista”. Insomma, prosegue, Israele è stato “superato a livello militare, di sicurezza e di intelligence” ed è stato “inferto un duro colpo agli alleati dell’occupazione che hanno sostenuto questa storica ingiustizia contro il popolo palestinese”.
Le notizie, che riguardano il conflitto tra Israele e Hamas si susseguono di minuto in minuto. Cresce, per ogni istante trascorso senza tregua e senza pace, l’angoscia, la preoccupazione per i 2 milioni di persone di Gaza. Civili inermi, senza un posto in cui stare al sicuro, senza acqua o cibo, senza carburante. Carburante che serve ai soccorritori, per le ambulanze, per i generatori che alimentano corrente negli ospedali, “il rischio è che a breve le incubatrici smettano di funzionare e che i neonati muoiano”. Il racconto di Tommaso Della Longa, portavoce della federazione internazionale della CRI, a Notizie.com è vibrante e emozionante.
Tommaso, ci restituisca un’ istantanea del momento drammatico che vive Gaza.
“La situazione a Gaza è catastrofica, siamo di fronte ad un disastro umanitario. Esistono diversi livelli di problemi. Innanzi tutto quello della sicurezza che riguarda civili ma anche soccorritori umanitari. Non esiste un’area sicura dentro Gaza. Da sempre, nei conflitti chiediamo di rispettare i civili, coloro che guidano le ambulanze. Esiste in questo senso un obbligo anche legale! Il diritto umanitario internazionale è stato scritto anche per portare luce nei momenti più bui. Anche le guerre, potrebbe sembrare un discorso paradossale, vanno rispettate. Anche nelle guerre esistono delle regole. Si dice: non sparate sulla Croce Rossa! Eppure quando si colpisce un’ambulanza, come è accaduto nelle prime ore del conflitto dopo il 7 ottobre…Qualcosa disumano vuol dire che sta accadendo”.
Anche tra i vostri soccorritori ci sono state infatti perdite umane…
“7 nostri membri sono stati colpiti e uccisi. Stavano soccorrendo persone, civili. 3 In Israele, poi altri 4 paramedici nella Mezzaluna Rossa hanno perso la vita. Sapere che dei colleghi siano morti è sempre drammatico, ma la riflessione è un’altra ancora rispetto a queste perdite: quando si colpisce chi opera per motivi umanitari vuol dire colpire ancora più duramente un’intera comunità. Significa indebolire la stessa. Altra catastrofe della quale si deve parlare in continuazione: bisogni umanitari immensi, non bastano decine di camion per soddisfare le esigenze prioritarie di più di 2 milioni di persone”.
Ci spieghi ancora meglio cosa manca a Gaza, di cosa hanno bisogno i civili.
“Il sostegno dovrebbe essere continuo. Gravissimo è il problema legato alla mancanza di carburante per alimentare i generatori. 2 Ospedali nella Mezzaluna Rossa hanno difficoltà estreme di approvvigionamento. Come possono continuare a funzionale le incubatrici per i neonati? Se si aspetta ancora, questi bambini moriranno a breve”.
Non le chiedo di commentare la situazione a Gaza, del conflitto tra Hamas e Israele sotto il profilo politico, ma quello a cui assiste, in base alla sua esperienza in situazione di crisi è senza precedenti?
“Sì, è una situazione senza precedenti. Siamo davanti ad un livello di scontro e violenza mai visto prima. A Gaza sono stato diverse volte e per diverso tempo dal 2009 in poi…Gaza viveva già in una situazione di dipendenza dagli aiuti umanitari. Il livello di distruzione è quasi inimmaginabile, la preoccupazione che le cose peggiorino è fortissima. Mai avevo assistito ad un grado di violenze così duro a Gaza, come mai avevo visto agire altrettanto duramente Hamas contro Israele, e mi riferisco a quanto accaduto in quel terribile 7 ottobre. Siamo arrivati alla situazione peggiore per tutti”.
Cosa andava già fatto, cosa andrebbe perseguito come obiettivo prioritario?
“Bisogna costruire uno spazio umanitario sicuro dove gli aiuti possano arrivare, possano essere distribuiti. A Gaza manca acqua, manca il cibo, manca tutto. Da questo punto di vista l’attività diplomatica internazionale continua è un fatto positivo. Come positivo è che la comunità internazionale, i capi di Stato Occidentale cerchino il dialogo. In virtù del lavoro che svolgo devo essere ottimista. Ogni supporto della diplomazia, qualunque cosa possa essere messa in campo per aprire varchi e spiragli di pace, deve essere usata. Però poi finisce anche il tempo delle parole. I bambini nelle incubatrici non hanno più tempo, quei neonati hanno bisogno di risposte veloci. Come operatore umanitario il fatto che non esista nessuna forma di protezione a Gaza mi lascia atterrito. Dal 7 ottobre, lì c’è un problema che si chiama umanità”.
L’immagine, la voce, la testimonianza che più l’hanno angosciata in questi 17 giorni di guerra…
“Quando all’inizio c’è stato l’ordine di evacuazione da Gaza al nord: gli operatori umanitari, i nostri soccorritori ci hanno telefonato per dirci che non avrebbero lasciato soli i pazienti. Ci hanno detto, “vi chiamiamo ora per salutarvi potrebbe essere l’ultima volta che vi parliamo”. E’ stato scioccante pensarli nel dilemma di chi ha tutta la possibilità per andarsene, ma non lo fa. E poi, in un’altra occasione. Un nostro soccorritore (spesso sono membri della società civile, delle diverse comunità, disposti a dare una mano) guidava un’ambulanza, quando all’improvviso non è riuscito più ad accenderla e farla andare avanti. Era andato a prendere due bambini, ma l’ambulanza non camminava. Era rimasta intrappolata. Lui piangeva disperato, e pensava ai suoi figli che avevano la stessa età. Accade anche che alcuni medici apprendano, mentre sono in servizio, di aver perso gli stessi figli. E’ disumano”.