Giorgia Meloni “si prenderebbe un rischio enorme” con un referendum sul premierato e perderebbe l’occasione di “restare nella storia come una leader trasformativa”.
In un’intervista a Notizie.com, Luca Verzichelli, presidente della Società italiana di Scienza Politica (Sisp) e professore ordinario dell’Università di Siena, sulla possibilità che si arrivi a un referendum sul Ddl Casellati che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. “Dispiacerebbe vedere che nel giro di meno di dieci anni, i due leader più trasformativi che hanno cambiato le sorti di questo Paese, Renzi e Meloni” perdessero un’occasione per cambiare l’Italia. “La premier ha l’opportunità di dimostrare che la destra può diventare veramente una forza di governo dopo essere stata esclusa nella prima Repubblica. Il rischio è che si giochi tutte le fishes su una partita troppo tecnica, invece di dimostrare di essere una leader trasformativa nelle politiche pubbliche che contano per le tasche dei cittadini”.
Un eventuali referendum “sarebbe un rischio troppo forte e divisivo sia per Meloni in quanto premier sia per la capacità di restare nella storia come la leader che ha trasformato il sistema italiano”.
Professore Verzichelli, cosa pensa della riforma Casellati?
“Penso che questo inizio di discussione comincia in un momento in cui i problemi non solo internazionali ma anche economici dell’Italia, farebbero pensare a un richiamo un po’ retorico. Non so quanto convincimento ci sia davvero e quanta capacità di convincere ci sia nei confronti di tutti i pezzi di questa maggioranza, che pensa cosa abbastanza diversa su tutti i punti di questa riforma. Il mio primo dubbio è che ci sia una corsa in avanti decisa nei toni, ma non ancora decisiva”;
Quindi si aspetta delle novità sul testo della legge?
“Sono certo che ci saranno novità”;
Ma come considera il premierato elettivo?
“Non penso che sia la soluzione per tre ragioni. La prima è che non possiamo dire che sia un forma di governo stabile e significativo. È stato sperimentato da Israele, che lo ha lasciato dopo quattro anni, praticamente dopo una sola applicazione. E Israele è una democrazia con problemi di stabilità da trent’anni”;
Anche l’Italia ha problemi di stabilità.
“Rinnovare va bene, non sarebbe una cosa negativa, ma l’Italia si trova in una situazione opposta a quella per cui in Israele fu deciso il premierato. Il nostro Paese per garantire stabilità sta inseguendo da 30 anni una democrazia basata su due campi che si contendono. L’abbiamo visto con Berlusconi e Prodi, ma anche in tentativi più recenti, anche se il sistema partitico attuale non permette più un’alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Al massimo l’Italia potrebbe aver bisogno di rafforzare il sistema parlamentare o scegliere una forma maggioritaria, presidenzialismo o semipresidenzialismo. Il premierato è l’opposto: fa ombra al Capo dello Stato e si danno poteri al premier di una democrazia parlamentare sostanzialmente non maggioritaria, con due Camere che devono essere elette e che possono anche avere esiti difformi”;
Bisognerebbe cambiare la legge elettorale?
“Questa riforma costituzionalizza di fatto un pezzo del sistema elettorale. Ci dice che deve esserci armonia tra Camera e Senato, che si deve legittimare l’elezione del premier in una scheda sola e che il premier va eletto in una di queste due Camere. Una parte del sistema elettorale diventa un cardine fondamentale e non si mette in Costituzione, anche perché la legge elettorale non si può mettere in Costituzione. In pratica, una legge ordinaria diventa il muro del tetto su cui si costituisce la Costituzione. È rischioso”;
Le opposizioni annunciano barricate, tranne Matteo Renzi. Come se ne esce?
“Con un esecutivo sostanzialmente blindato per far approvare la riforma a colpi di maggioranza assoluta, ma non qualificata. E l’apporto di Renzi non è così scontato. Dice di essere d’accordo con l’elezione diretta del premier, ma non è detto che ci sia un accordo su tutto il pacchetto complesso di riforme. Si tratta di toccare un bel po’ di articoli della Costituzione. Al momento vedo la possibilità di un referendum, sempre che la maggioranza sia capace di portare fino in fondo la riforma in Parlamento”;
Il referendum sarebbe il banco di prova per Giorgia Meloni. Gli italiani sono sempre cauti sulle riforme costituzionali.
“Certo che sì, un referendum sarebbe il banco di prova anche della capacità del governo di parlare ai cittadini. La cosa principale che veniva imputata a Renzi dalle persone moderate e di buonsenso, è il tipo di sfida. Renzi fece lo stesso errore su una riforma molto meno divisiva, che in fondo lavorava sulla semplificazione del Parlamento e proponeva un adattamento del sistema parlamentare. Meloni non ha ancora esplicitato la sfida del referendum. Al contrario, sta dicendo in tutti i modi che cercherà di fare una riforma in maniera consensuale con le opposizioni. Se si arrivasse al referendum sarà comunque una sconfitta”;
Sarebbe una sconfitta anche se gli italiani le dessero ragione?
“Se il referendum desse ragione al governo, i cittadini dovrebbero aver fiducia in una premier che hanno votato un anno fa. E ricordiamolo, ha votato un numero di cittadini inferiore alla metà potenziale, a causa dell’astensionismo. Il partito di Meloni è al 26%: una percentuale minore del Popolo della libertà nel 2008 e anche meno di Forza Italia nel 1994. La presidente del Consiglio si prende un rischio enorme e divisivo senza la certezza di fare bene, perché questa riforma non ci garantisce una funzionalità. E se perdesse al referendum, mi dispiacerebbe vedere che in meno di dieci anni, i due leader più trasformativi che hanno cambiato in qualche misura le sorti di questo Paese, Renzi e Meloni, si siano giocati tutte le fishes alla stessa maniera. Meloni è la prima donna premier d’Italia, espressione di una destra moderna che fa riferimento a quella esclusa nella Prima Repubblica”.