105. È il numero di donne uccise dall’inizio del 2023. È chissà se aumenteranno nell’ultimo mese che manca alla fine dell’anno.
L’ultima vittima, la 105esima appunto, è Giulia Cecchettin. La sua storia ha tenuto tutta Italia con il fiato sospeso per una settimana, fino a che non è stato trovato il suo corpo e si è materializzato il terrore che la sua storia potesse avere il più tragico degli epiloghi.
Giulia doveva laurearsi, ma è stata presa dal suo ex Filippo Turetta, 22 anni, che ora è accusato di averla uccisa. È stato arrestato dalla polizia tedesca sull’autostrada A9 nei pressi di Lipsia, in Germania. Ora attende la decisione dell’Oberlandesgericht di Naumburg, il Tribunale regionale superiore, che dovrà pronunciarsi sull’estradizione.
Poche ore prima di Giulia, in Calabria è stata uccisa la dottoressa Francesca Romeo, 67 anni, in servizio alla guardia medica di Santa Caterina d’Aspromonte. Vittima di un agguato.
Nel Casertano invece, nei giorni scorsi è morta Patrizia Vella Lombardi. Aveva 55 anni e a toglierle la vita è stato il figlio Francesco Plumitallo, 30 anni, reo confesso. Ma andando di qualche mese indietro, ricorderemo certamente Giulia Tramontano, morta per mano di Alessandro Impagnatiello quando era incinta al settimo mese.
Cosa bisogna fare? Le leggi contro la violenza di genere bastano? Il rispetto verso le donne è sicuramente una questione culturale. Il progetto di introdurre l’educazione sentimentale a scuola mira anche a modificare la percezione che le nuove generazioni hanno del rispetto.
L’intervista di Notizie.com all’ex magistrata Nicoletta Gandus
Ne abbiamo parlato con Nicoletta Gandus, già magistrata, che ha speso la vita nell’impegno “di genere”. Dalla fine degli anni ’70 ha partecipato al Gruppo donne Palazzo di Giustizia, divenuto il Collettivo Donne e Diritto di Milano. Ha scritto di violenza sessuale, di interruzione volontaria di gravidanza, di molestie sessuali, di procreazione medicalmente assistita, di diritto alla salute e di consenso informato. È stata co-presidente e responsabile legale della Casa delle Donne di Milano.
Le abbiamo chiesto se vanno aumentate le pene per fermare il fenomeno della violenza di genere. Ci ha risposto che non serve, e che bisogna cambiare i modelli culturali: “Ci sono molti passi avanti da fare a livello culturale, educativo e nel sistema carcerario. Sicuramente non serve a niente aumentare le pene. Tutta la politica attuale, di fatto, è contro qualsiasi educazione di genere nelle scuole. Serve un’educazione ai sentimenti, agli affetti, alle relazioni, un’educazione culturale profonda, emotiva. È impressionante che si tratti di giovani. Hanno la cultura patriarcale nel dna”.
Servono modifiche legislative?
“Non servono modifiche legislative. Va aumentata l’attività culturale e di prevenzione nelle scuole e sui media. Tutto dovrebbe modificarsi profondamente. Lo diciamo da anni e sto diventando sempre più pessimista, malgrado tutto, perché invece che diminuire il numero dei femminicidi, diminuisce l’età di quelli che li commettono. Mi sembra un vero disastro”.
I progetti a scuola ci sono…
“Sì, ci sono progetti nelle scuole, alcuni li conosco ma non è mai abbastanza”.
Come si sradica la cultura patriarcale?
“Modificando la cultura. Sono d’accordo con Alberto Leiss: bisognerebbe aumentare la consapevolezza maschile dell’essere maschio patriarcale”.
Cosa pensa di un’eventuale manifestazione maschile per sensibilizzare gli uomini contro la violenza sulle donne?
“Per quel che serve…”.
Ha perso le speranze?
“Non ho perso le speranze. Le mie speranze si proiettano nel futuro. I miei nipoti crescono in un ambiente non patriarcale: l’educazione familiare conta”.