La famosa sociologa ritorna sul tema della protesta in Iran e prende le parole di Elena Cecchettin: “Serve insegnare che l’amore non è possesso”
“La letteratura classica fa risalire le mobilitazioni femministe iraniane alla fine dell’Ottocento per poi proseguire con la rivoluzione costituzionale dei primi del Novecento“. A raccontarlo è la professoressa Rassa Ghaffari, sociologa e assegnista di ricerca all’Università di Genova, autrice del libro Strade di donne in Iran. Le sue parole cercano di smuovere ancora di più le coscienze, non solo per quello che sta accadendo da mesi in Iran, ma anche per tutto il movimento che si è venuto a creare in questi ultimi anni.
La sociologa Ghaffari cerca di andare a fondo nel problema e di far capire che le protese continue in Iran non sono per provare a dialogare con il sistema e con il governo, ma per sradicarlo e tentare di spazzarlo via con tutte le forze e con l’aiuto della comunità internazionale: “Le donne iniziarono a mobilitarsi non solo per la condizione femminile ma per le condizioni economiche e politiche della società, dimostrando di essere tutt’altro che soggetti passivi. La consapevolezza delle donne spesso non è stata tramandata ma la loro partecipazione è evidente.
“I movimenti femministi non riguardano solo le donne”
“Esiste una genealogia di lotte che vanno avanti non solo per se stesse, ma per la società intera, qualcosa che ritorna nelle proteste del 2022-23″. Per la Ghaffari lo slogan “Donna vita libertà” non sono solo delle parole, ma un cartello che dovrebbe essere preso in mano da tutti perché in quelle tre parole c’è tutto il significato di quello che si sta facendo in Iran e non solo da tanti anni a questa parte: “Quello slogan rende molto bene lo spirito di questo movimento: riuscire a coinvolgere strati della popolazione diversi, soggettività che finora non erano mai riuscite a coalizzarsi intorno alla causa femminile”.
“La storia ci insegna, non solo in Iran – ribadisce la Ghaffari nelle sue parole e nella sua intervista al Manifesto, come i movimenti femminili e femministi tendono a essere considerati divisivi o secondari, qualcosa che riguarda solo le donne. Una realtà a cui si aggiungono anche le fratture nei movimenti femministi che non riuscivano a dialogare con le donne della classe lavoratrice o a usare un vocabolario e un discorso che potessero attrarre donne di minoranze rurali o religiose”.