La pediatra che segue questi fanciulli strappati alle loro famiglie: “Ci vorranno anni per rimediare e recuperare i traumi”
“Un bambino di tre anni mi ha detto che durante il viaggio a bordo di un trattore dal kibbutz dell’eccidio il sette ottobre ai tunnel di Gaza vicino a lui c’era un uomo rosso, lo ha anche disegnato. A quell’età un bambino non parla esplicitamente della morte, la raffigura in modo allegorico, quasi certamente quella figura rossa era un altro ostaggio insanguinato, morto o moribondo, magari qualcuno a lui familiare. Le parole sono della pediatra Efrat Harlev, una donna molto importante che si sta prendendo cura dei bambini che sono stati rapiti da Hamas. E’ lei che li segue, è lei che cerca di alleviare il loro dolore, non solo da un punto di vista medico, ma anche psicologico. Non sarà facile perché il trauma che hanno subito è profondo e lacerante.
Efrat Harlev dirige lo Schneider Children Medical Hospital alla periferia di Tel Aviv e lì si prende cura della maggior parte di loto, tanto che in questo ospedale sono ricoverati 19 bambini appena liberati dopo quasi due mesi di prigionia e orrori a Gaza. “Tutti gli ostaggi hanno perso tra il 10 e 16 per cento del peso corporeo. Mangiavano poco e male, per giorni interi sono rimasti a digiuno, anche quelli molto giovani. Erano sporchi, non potevano lavarsi, le ferite andavano in cancrena, sappiamo che tra gli ostaggi ci sono anche stati diverbi per la divisione della pochissima acqua potabile distribuita da Hamas“, ha raccontato la pediatra al Cor Sera e le sue parole sono piene di dolore ma allo stesso tempo di speranza per quei piccoli.
E tra i problemi principali, non c’è la malnutrizione, ma qualcosa di peggio almeno a sentire il racconto e le parole della pediatra che tiene in cura e in osservazione questi bambini: “Il problema maggiore è curare le loro anime, sono feriti nella psiche. Ci aspettavamo di dover limitare un’alimentazione troppo veloce. Ma è stato l’opposto, all’inizio hanno solo sbocconcellato il cibo, chiedevano a ogni boccone il permesso per mangiare”.
“Quelli più piccoli addirittura provavano a mettere in disparte il cibo – ha spiegato la Harlev -, come se si attendessero che potesse sparire da un momento all’altro. Adesso stanno rapidamente recuperando la forma fisica. Ma per le cure psicologiche ci vorrà molto tempo, probabilmente anni interi”. Racconti raccapriccianti che non dovrebbero farsi sui bambini, ma purtroppo è una storia brutta.