Leggere i bilanci, relazionare su cose positive e nasconderne altre che sono tutt’altro che piacevoli, ma con la Champions tutto sarebbe più semplice
di Enrico Camelio e Daniele Magliocchetti
Feste, balli e caroselli per dei numeri che sono tutt’altro che piacevoli e super positivi, come si vuole far credere. C’è sicuramente qualche miglioramento rispetto all’anno precedente, soprattutto sui ricavi e con meno perdite, ma il debito finanziario netto della Roma è esploso, passando da 323 milioni a 448 milioni, ben 125 milioni in più. Non proprio numeri che fanno volare. Tutt’altro. Sui ricavi, invece, ci sono numeri positivi, ma da un certo punto di vista, sarebbe stato un disastro se non fosse stato così. Ma far passare come miracoli dell’economia ed esaltare fuffa, sinceramente è un po’ troppo, soprattutto se si vanno a considerare numeri di qualche anno fa e, spesso, più si va avanti, più si dovrebbe migliorare, quanto meno la situazione con un imprenditore che è entrato tre anni.
Sia ben chiaro, il lavoro dei Friedkin non è facile vista la situazione che hanno ereditato e quello che stanno facendo è una lavoro pazzesco, anche perché, ed è qui la stortura e la grande passione, non fanno altro che mettere soldi all’interno della società con ricapitalizzazioni quasi continue. E questo è encomiabile, soprattutto di questi tempi. La verità è che i veri trionfatori, semmai trionfo ci sarà dal punto di vista economico finanziario, sono loro e soltanto loro, gli americani arrivati da San Diego, non certo chi è attualmente alla guida della squadra, come si vuol fare apparire. Ed è forse anche per questo che c’è un pizzico di scetticismo nei confronti dello Speciale One che di “special” da questo squisito e approfondito punto di vista, ha ben poco.
C’è stata una riduzione dei i costi, che sono scesi a 349 milioni (-54 milioni), non sono andate male nemmeno le plusvalenze, che hanno portato in cassa 54 milioni di euro (altre società hanno fatto meglio, vedi la Lazio con il solo Milinkovic). Ci sono sempre quei 125 milioni di euro in più sul debito finanziario netto che preoccupano non poco, anche se, e questo va sottolineato, c’è una ricapitalizzazione fino a 520 milioni che è stata “deliberata dall’assemblea il 18 ottobre 2022, da attuare entro la fine del 2024″.
Ma anche qui, Mourinho inserito come guru dei conti quasi, non c’entra nulla. Anzi. Al tecnico portoghese dovrebbe essere chiesto come mai percepisce uno stipendio di 7 milioni di euro a stagione, quindi ben oltre 14 milioni di euro negli ultimi due anni, uno degli allenatori più pagati della serie A, e all’attivo ha appena due sesti posti in campionato. L’ultimo, in realtà doveva essere settimo, ma è diventato sesto grazie alla “retrocessione” della Juve in classifica.
E’ vero c’è il titolo della Conference League, ma che ha portato in cassa appena 30 milioni di euro in tutto, una somma poco inferiore che viene incassata una volta ottenuta la qualificazione in Champions, che lievita a poco a poco con le partite dei gironi, il market pool etc. Mourinho era stato ingaggiato per tornare in Champions, una competizione che la Roma non disputa dal 2019 e per 7 milioni di euro e con gli ingaggi importanti, vedi quello di Dybala e altri, doveva essere quanto meno garantito. Nel 2018 l’accesso alla semifinale di Champions, poi persa col Liverpool, ha consentito all’As Roma di arrivare a 100 milioni di euro di ricavi dalla Champions League 2017/18 e poco più della metà nell’edizione successiva, quando venne eliminata dal Porto negli ottavi. In totale le sole ultime due edizioni della Champions hanno portato nelle casse della Roma quasi 160 milioni di euro o già di lì. Nemmeno se vincesse cinque Conference League consecutive riuscirebbe a raggiungere questi numeri.
Allora è giusto esaltare Friedkin per gli innumerevoli sforzi che sta facendo, ma è altrettanto vero chiedere severe spiegazioni a José Mourinho del motivo perché la Roma non è mai entrata in Champions perché esaltare un tecnico che non fa giocare bene la squadra e che spesso cammina a corrente alternata, per non parlare della figuraccia in Europa League con quel secondo posto in un girone di squadre modeste, è troppo, soprattutto se lo si considera uno degli artefici dei conti in salute della Roma, quando in realtà è stato il vero freno. Colui che non ha fatto spiccare il volo che tanto voleva (e vuole ancora fare) Dan Friedkin.