Parla la vincitrice del Nobel per la pace, l’attivista iraniana che al CorSera racconta la sua detenzione e i motivi della sua lotta contro il regime
Le parole di Narges Mohammadi fanno male, ma danno anche tanta speranza perché se ci sono persone come lei al mondo, vuole dire che ancora tutto non è piatto. Narges Mohammadi ha ricevuto il premio Nobel per la pace e al municipio di Oslo per la cerimonia c’erano i figli gemelli Ali e Kiana Rahamani, 17 anni, ma anche una sedia vuota, dove doveva esserci Narges, ma non può perché dal 2021 è in carcere a Teheran. Una sedia vuota che dice tantissimo ed è messo lì a posta. Narges Mohammadi, ha 51 anni, dal 2021 è in carcere, è stata arrestata 13 volte e condannata a 31 anni e 154 frustate. Motivo? Opporsi in modo civile al regime. Era ed è un un ingegnere, ma anche vicepresidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani, è un’attivista ma è soprattutto il simbolo della lotta iraniana alla dittatura. Riesce a rilasciare un’intervista via mail al CorSera e attraverso il marito Taghi Rahmani, che vive a Parigi con i suoi figli, risponde alle domande, ma anche questa intervista “avrà un prezzo”, dice il marito.
Narges risponde per iscritto da una piccola cella che condivide con altre quattro detenute, nel braccio femminile di Evin. “I prigionieri hanno diversi modi per comunicare con l’esterno ma preferiamo non andare nel dettaglio“, racconta il marito e attivista Taghi: “Su di me – scrive e racconta Narges Mohammadi – aprono procedimenti su procedimenti: ne ho accumulati sei. Per due di questi sono stata condannata ad altri 27 mesi di prigione e quattro di pulizia delle strade, sono in attesa di un altro verdetto”. Non riesce a vedere i figli da otto anni che nonostante questa lunghissima assenza la amano e la seguono e supportano in tutto: “Stare lontano da un figlio è il dolore più atroce che si possa immaginare. Il primo arresto è avvenuto quando Ali e Kiana avevano 3 anni e 5 mesi. Sono stata in isolamento, in un reparto di massima sicurezza. Non c’erano telefonate, né visite, non sapevo nulla di come stavano i miei bambini, ero tormentata. Ogni volta che penso a quel periodo, non posso credere di essere sopravvissuta a così tanta pena. Poi è andata anche peggio“.
“Per me il Nobel è una dichiarazione di sostegno globale”
Narges racconta e le sue non sono parole così rassicuranti anche per il dolore di non poter vedere crescere i suoi figli come vorrebbe e starle accanto come desidererebbe: “La seconda volta che mi hanno arrestata e messa in isolamento, Kiana e Ali avevano 5 anni e Taghi era scappato a Parigi. In cella non facevo che pensare alla solitudine, all’impotenza dei miei figli, così piccoli, così soli: era insopportabile. Mi sono salvata solo grazie alla mia fede nella libertà per ogni essere umano. Così la sofferenza non diminuisce ma trova un senso. Non posso lamentarmi“.
Adesso Ali e Kiana hanno 17 anni e sono andati a Oslo a ritirare il Premio al suo posto. Un premio che per Narges significa davvero tanto, e non solo per lei, ma anche per “Masha e Armita“, due donne che sono state uccise perché si sono opposte alle regole del regime che c’è in Iran, soprattutto sulle donne: “Il messaggio che ho mandato e che Ali e Kiana hanno letto durante la cerimonia iniziava con lo slogan “Donna, Vita, Libertà”, in onore della rivoluzione del popolo iraniano. Per me il Nobel è una dichiarazione di sostegno globale al movimento progressista d’Iran. È per l’Iran che si ribella“