Il segretario generale del sindacato della Fiom parla al CorSera e avvisa: “Mittal non vuole investire sul polo siderurgico di Taranto”
Ilva, un affare di Stato. Volente o nolente. Parole, promesse, garanzie, tutto andato in fumo, ma non da adesso da anni. Ancora riecheggiano le parole dell’allora Ministro Calenda che si vantava di aver risolto la situazione del polo siderurgico di Taranto, ora a distanza di anni tutto ritorna indietro, come se fosse un gioco dell’oca. E, come spesso succede, le promesse dei politici a tanti lavoratori restano e sono carta straccia. E in tutti i sensi. Ma non è stato solo Calenda, prima di lui altri e anche altri dopo di lui. Ora si è al punto di partenza, con Ilva che è sospeso come sempre, un tira e molla snervante per tanti lavoratori. E le loro responsabilità le hanno anche i i sindacati, sia ben chiaro.
Uno di loro, Michele De Palma, segretario della Fiom-Cigl, cerca di spiegare e portare avanti una sua idea, che poi non è proprio una trovata geniale, ma tant’è. “È stato un anno duro per i metalmeccanici Abbiamo provato a difendere l’occupazione in situazioni sempre più complesse, da Ilva a Stellantis. Alcune battaglie hanno raggiunto gli obiettivi, penso alla reindustrializzazione di Marelli a Crevalcore o alla Whirlpool a Napoli o alla Gkn con la revoca dei licenziamenti, ma restano tante vertenze che ci preoccupano”.
Ilva è una delle maggiori aziende a livello nazionale riguardo all’acciaio e alla siderurgia. Un polo importante, ma spesso dimenticato per quanta importanza ricopre e potrebbe ricoprire. La storia recente in sintesi da parte di De Palma: “Nell’incontro a Palazzo Chigi c’è stato scontro. A detta del Governo gli scenari sono tre: Mittal mette le risorse per la ripartenza degli impianti; l’amministrazione straordinaria; lo Stato che si riprende la maggioranza della società, come chiediamo noi“.
Motivo? Ed è lo stesso segretario della Fiom-Cigl che lo spiega con chiarezza: “Perché Mittal non ha voluto investire nell’azienda e siamo arrivati a una situazione disastrosa da tutti i punti di vista, con 20mila posti di lavoro, indotto compreso, a rischio. Inoltre, un Paese senza la siderurgia è un Paese che sceglie di fare a meno dell’industria e questo non possiamo permettercelo. Pensiamo solo all’acciaio che serve per la produzione automobilistica“.