“Non dobbiamo dimenticare che la lotta nei confronti di Hamas è cominciata il 7 ottobre. Dal palco di Sanremo si è parlato della reazione israeliana ma non dell’azione terroristica”.
Sono le parole di Claudio Bertolotti, ricercatore Ispi interpellato da Notizie.com per commentare la reazione dell’ambasciatore israeliano Alon Bar alle parole di pace di Ghali (ma non è stato l’unico artista) sul palco dell’Ariston durante il Festival di Sanremo.
“Ritengo vergognoso che Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”, ha scritto Bar in una nota, sottolineando che tra le vittime e gli ostaggi degli attentati del 7 ottobre c’erano anche molti giovani: “Il Festival di Sanremo avrebbe potuto esprimere loro solidarietà. È un peccato che questo non sia accaduto”.
La replica di Ghali a Domenica In
Il caso è continuato nella puntata dell’11 febbraio di Domenica In, quando Ghali, interpellato da un giornalista, ha ribadito il suo punto di vista, ricordando che molte persone sono in pericolo: “Mi dispiace tanto che abbia replicato in questo modo. Ci sarebbero tante cose da dire. Per cosa dovrei usare questo palco? Io sono un musicista e ho sempre parlato di questo da quando sono bambino – ha specificato il rapper milanese – Da quando ho scritto le mie prime canzoni, a 13-14 anni, parlo di quello che sta succedendo. Non è dal 7 ottobre, questa cosa va avanti da un po’. Il fatto che lui parli così non va bene. Continua questa politica del terrore e non va bene. La gente ha sempre più paura di dire stop alla guerra e stop al genocidio – ha concluso – Le persone sentono che perdono qualcosa se dicono viva la pace, non deve succedere questo. Ci sono bambini di mezzo: io da bambino sognavo e ieri sono arrivato quarto a Sanremo. Quei bambini stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, quanti geni ci sono tra loro”.
Mara Venier legge la nota dell’ad Rai Sergio
Poco dopo le parole di Ghali Mara Venier ha letto la nota dell’ad Rai Roberto Sergio: “Ho vissuto assieme all’ambasciatore Bar ed alla presidente Di Segni gli eventi che la Rai ha dedicato alla memoria della Shoah nell’ultima settimana di gennaio. E ogni giorno i nostri telegiornali e i nostro programmi raccontano la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas, oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla comunità ebraica è sentita e convinta”.
Poco dopo, la padrona di casa di Domenica In aveva interrotto Dargen D’Amico mentre parlava dei migranti, sottolineando che l’atmosfera del suo programma era di festa, perché si stava parlando di Sanremo. “Qui è una festa, ci vorrebbe troppo tempo per affrontare determinate tematiche. Qui stiamo parlando di musica, è difficile dire in tre parole tutto questo. Sono domande che voi fate a cui bisognerebbe rispondere in modo dettagliato. Noi il tempo non ce l’abbiamo, dobbiamo far cantare tutti”, ha detto Venier.
L’intervista di Notizie.com a Claudio Bertolotti (Ispi)
“Innanzitutto l’ambasciatore israeliano è portavoce della linea di governo ed ha la responsabilità di indirizzare o cercare di contenere la narrazione israeliana o filo-Hamas, che anche se non è legata a quella filo-palestinese, spesso vengono associate. In questo periodo particolarmente vivace, le due cose che sono separate, spesso vengono interpretare come tutt’uno. E questo è il problema alla base di quanto avvenuto”, analizza Bertolotti.
“L’ambasciatore Bar ha usato toni molto accesi ma è comprensibile e ragionevole dal suo punto di vista. Ha il compito di porre sempre in evidenza quanto subito da Israele il 7 ottobre. Non dobbiamo dimenticare che tutto questo nasce dall’attacco di Hamas e dal palco di Sanremo invece si è parlato della reazione israeliana ma non dell’azione terroristica che ha portato ala reazione del governo Netanyahu. E se citiamo cantanti – aggiunge l’esperto – allora perché non citare anche cantanti, musicisti e amanti della musica come quelli italo-israeliano Nir Forti, che è stato ucciso dai terroristi di Hamas durante il rave party insieme a Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron?”.
Dottor Bertolotti, ma Ghali, come altri artisti, all’Ariston ha parlato di pace e di cessate il fuoco, ricordando i bambini in pericolo.
“È legittimo esprimere un’opinione. Ghali l’ha fatto ma deve essere informata. Non si può prendere solo un elemento di quelli che compongono questo complesso mosaico conflittuale e prenderlo come unico punto di riferimento. O si fa un discorso trasversale, bilanciato e corretto, oppure si cerca di spostare l’attenzione sul numero di vittime. Su quest’ultimo punto inoltre, non c’è conferma, perché i numeri arrivano tutti dai terroristi di Hamas. Oltretutto, rispetto a quei numeri. Israele dichiara che metà di essi sono terroristi caduti nei combattimenti. Andrebbe usata serietà e cautela nel rilanciare i dati che di fatto sono elementi di una propaganda di guerra, che ormai ha penetrato qualunque ambito”.
Questa notte a Rafah sono stati liberati due prigionieri. Biden chiede calma a Netanyahu, ma lui risponde che solo attraverso una costante pressione militare si arriverà alla liberazione di tutti gli ostaggi. Secondo il WP c’è gelo tra i due. Qual è la sua opinione?
“Netanyahu e il suo governo sono refrattari in qualunque spinta da parte di Biden in termini di riduzione dell’intensità del conflitto e degli obiettivi stabiliti: distruggere Hamas e liberare i prigionieri, con pari priorità. Biden vorrebbe la riduzione della pressione militare, ma questo porterebbe a non raggiungere nessuno dei due obiettivi, a meno che non di arrivi a un accordo negoziale che porti alla liberazione di una parte o di tutti i prigionieri. Ma la questione è che ormai è cambiato il paradigma dell’approccio israeliano nei confronti della striscia di Gaza”.
Cosa è cambiato nello specifico?
“Prima l’obiettivo era colpire le capacità militari di Hamas, oggi è diventato rimuovere Hamas dal potere. E andrà avanti in questa direttrice. Le decisioni di Biden saranno abbastanza ininfluenti perché non ha una sufficiente capacità politica in grado di imporre una decisione militare a Netanyahu. La minaccia di ridurre gli aiuti non si concretizzerebbe, perché l’opinione pubblica Usa non accetterebbe mai l’idea di abbandonare Israele”.
Dopo le accuse di un possibile coinvolgimento di dipendenti di Unrwa, 10 Stati hanno bloccato i finanziamenti all’agenzia Onu. Che idea si è fatto?
“Da un lato parliamo di responsabilità individuali. Ci sarebbero soggetti dell’agenzia Onu che avrebbero preso parte a quegli attacchi. Su questo c’è poco da dire. La responsabilità deve essere dimostrata ed eventualmente ci saranno sanzioni nei confronti di singoli soggetti. Preoccupano invece, i recenti sviluppi: il rinvenimento di un’infrastruttura sotterranea e di una elettrica che era collegata a uno degli uffici dell’agenzia Onu. Qui i dirigenti e i funzionari hanno una responsabilità oggettiva nel non aver vigilato ed essere stati superficiali nella valutazione dell’infiltrazione di Hamas nella propria agenzia”.