Vladimir Putin è stato rieletto presidente della Russia con una percentuale dell’87%: un vero e proprio plebiscito.
Un plebiscito che non convince per alcuni motivi: innanzitutto non c’erano altri candidati realmente dell’opposizione. Il voto è avvenuto in tre giorni e per la prima volta in Russia è stato possibile ricorrere al voto elettronico. Entrambi questi elementi avevano sollevato il timore dell’aumento dei brogli e manipolazioni.
Francesco Di Nisio, politologo, presidente dell’Associazione italiana dottori in scienze politiche (Aidosp), ai nostri microfoni analizza il voto in Russia prendendo in considerazione tre punti: la mancanza di una vera opposizione, la percentuale troppo alta con la quale è stato rieletto Putin e la protesta avvenuta durante le votazioni.
Professore, in Russia si fa fatica a parlare di elezioni come le intendiamo noi.
“Abbiamo visto scene con schede col voto non piegato messe dentro ad urne trasparenti, e addirittura militati che entravano per vedere chi votava e per chi. È certo che in Russia non si può parlare di democrazia come la intendiamo in Occidente. Il risultato che viene fuori lascia allibiti, perché è un troppo alto. Nel 2018 era 76,69%, aveva cercato di rendere credibile la sua elezione. Ora sfiora il 90%: il dato è altissimo per sembrare vero. Non è credibile, Putin ha esagerato un po’ troppo. A ciò va aggiunto il fatto che gli altri candidati erano tutti allineati e sono stati scelti per dare la parvenza che avesse degli avversari. Nessun partito ha superato il 5%, dovranno fare l’opposizione ma non sono veri oppositori”.
Che idea si è fatto della protesta di mezzogiorno contro Putin organizzata da Yulia Navalnaya e dai sostenitori di Navalny?
“Credo che la vera opposizione contro Putin si stia rafforzando. Il presidente russo, comunque sia andata la morte di Navalny, si porterà sulla coscienza la sua morte. Questo dà modo agli oppositori di sedimentare questa protesta. Quella di mezzogiorno non è stata di poco conto: ci sono state file di centinaia di metri ed è stata un punto di partenza. Non è stata una protesta di piazza, ma qualcosa di composto e coraggioso: un buon inizio per il movimento che si oppone, ma non per Putin. In Russia c’è una presa di coscienza che man mano crescerà”.
Sembra una speranza per i cittadini russi. Ne è convinto?
“Sì, in questa sfida c’è stata anche l’approvazione del mondo occidentale. È stato un risultato negativo per Putin e positivo per quel poco di democrazia che resta in Russia”.
Per la prima volta Putin ha parlato di Alexei Navalny. Perché?
“Credo che dietro ci sia uno studio di comunicazione per far passare il messaggio agli oppositori che “tutto sommato la morte di Navalny può anche dispiacere”. Nominando Navalny, ha tentato di calmare la protesta che sta salendo, quasi a volersi giustificare per distendere un nervo che si sta armando”.
È sotto gli occhi di tutti che quello che è avvenuto in Russia per l’elezione di Putin non solo non ha niente a che fare con la democrazia, ma anche qualcosa al di fuori dalla legge. Cosa può fare la comunità internazionale?
“La comunità internazionale poteva fare di più prima e può fare di più oggi. Ma la vedo debole e vorrei capire perché. Stiamo assistendo a un attacco a oltranza verso un Paese, l’Ucraina, e non si può mandare avanti questa azione. La comunità internazionale deve far capire a Putin che questa è un’azione esagerata. Fino ad oggi ci sono stati tentativi blandi, ma non azioni concrete. Ci si può ancora sedere a tavolino. Sul fronte ci sono perdite e nessun vantaggio significativo da entrambe le parti. La percezione è che la guerra sarà lunghissima e ne guadagnerà solo chi produce armi. La posizione dell’Italia è quella giusta: no all’intervento diretto, e no alla proposta fuori dal mondo di Macron, che forse non ha considerato che si rischia la terza guerra mondiale. La comunità internazionale ha il mandato e l’autorità per deliberare e anche per parlare con la Cina, che all’inizio si era proposta come intermediaria e ora è uscita di scena. Abbiamo mollato la strada della diplomazia. A tutto c’è una soluzione, ma non vedo azioni serrate e concrete per arrivare alla conclusione della guerra in Ucraina”.