Il rischio dell’escalation tra Iran e Israele sembra più attuale che mai, insieme al rischio che Teheran possa decidere di usare la bomba atomica contro Tel Aviv.
Ne ha parlato anche il ministro della Difesa Guido Crosetto questa mattina, dichiarando che Israele teme lo sviluppo dell’arma atomica dell’Iran.
“Lo temiamo tutti. La questione è quando l’Iran avrà la disponibilità della bomba e il vettore per lanciarla”. Sono le parole di Claudio Bertolotti, ricercatore Ispi, a Notizie.com, che confermano il timore. “Dopo aver costruito l’arma atomica, Israele dovrà avere a disposizione un vettore balistico in grado di colpire un nemico, e in questo momento il più plausibile sembra Israele. La paura è estremamente legittima e quello che dice il ministro Crosetto è corretto, ed è un ulteriore motivo per sostenere Tel Aviv”.
Un attacco diretto di una delle due potenze sembrava lontano fino a poche ore prima, eppure per la prima volta nella storia, è avvenuto. Adesso si teme un botta e risposta e la stessa Israele ha già annunciato una reazione, anche se non ha deciso dove e quando.
Dottor Bertolotti, come legga la situazione?
“Credo che potrebbe essere utile cominciare dalla dottrina strategica della difesa israeliana. Questo documento parla esplicitamente di un approntamento permanente per gestire una escalation orizzontale, ovvero una guerra che coinvolga progressivamente o tutti insieme, gli attori non statali e statali a livello regionali. Tra questi ultimi il primo è l’Iran. Visti questo documento e l’approntamento delle forze di sicurezza israeliane negli ultimi dieci anni, Israele si è mosso in maniera coerente e ha gli strumenti per affrontare una guerra”.
Quali sono gli scenari?
“Potrebbe accadere che Israele decida di colpire l’Iran oppure i suoi proxy. Quindi direttamente o indirettamente. La scelta verrà fatta dal gabinetto di guerra e approvata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che in questo momento ha interesse a mantenere una posizione forte, assertiva e proattiva per Israele. Un po’ perché è la sua visione politica, un po’ perché è coerente con la visione di Israele, che si basa su una difesa attiva, vale a dire un approccio offensivo: colpire i nemici prima di essere colpito”.
In che modo avverrebbe la risposta di Israele?
“Potrebbe colpire l’Iran indirettamente in Siria, Libano o in secondo piano nello Yemen. Oppure direttamente l’Iran e in questo caso le opzioni sono due. La prima, in maniera cinetica, con armi vere e proprie. La seconda è un attacco sul piano tecnologico, cibernetico, arrecando il massimo danno possibile alle infrastrutture, in particolare quelle legare alla difesa e allo sviluppo della tecnologia duale, con applicazioni sul settore nucleare. In questo modo di fatto stroncherebbe in fase di sviluppo il processo di acquisizione della tecnologia atomica di Teheran”.
Ciò comporterebbe una guerra vera e propria.
“In caso di intervento diretto sull’Iran ci sarebbe un botta e risposta, quindi un’escalation incontrollabile. Potrebbe aprire a un conflitto che nelle intenzioni sarebbe risolutivo di una conflittualità latente, che ormai dura da decenni. E che è stata palesata per la prima volta dall’Iran con un’azione diretta in Israele. Questo evento storico ha cambiato il paradigma che fino ad oggi abbiamo conosciuto, anche per la stabilità interna di Teheran”.
Cosa intende?
“Il regime degli Ayatollah è sempre più debole. Un eventuale conflitto con Israele potrebbe essere deleterio. Si assisterebbe a un indebolimento interno, all’incapacità di gestire il fronte esterno, quindi all’apertura a un regime che sicuramente non sarebbe indolore e potrebbe passare attraverso la guerra civile”.