Il criminologo Lavorino in esclusiva ai nostri microfoni sulla strage di Erba: “Non sappiamo come andrà a finire, ma i giudici devono lavorare in tranquillità”.
Nuovo rinvio sulla riapertura del processo sulla strage di Erba. Il prossimo 10 luglio prevista la terza udienza e poi ci sarà la camera di consiglio per prendere una decisione definitiva su Olindo e Rosa. Noi di questo ne abbiamo parlato con Carmelo Lavorino, criminologo e Direttore del CESCRIN (Centro Studi Investigazione Criminale).
Dottor Lavorino, qual è la sua prima impressione sul giallo di Erba?
“Premetto che il giorno dopo la strage rilasciai un’intervista a livello nazionale dove, valutati il modus operandi, la metodica criminosa, il contesto, la vittimologia ed altro, ero convinto che gli assassini fossero della malavita non italiana, che la mentalità di questi fosse dell’abitudine allo scannamento con chiara manualità delle armi da taglio, che si trattava di omicido punitivo in ambito dello spaccio di droga, dell’ostile ‘Ti ammazzo il cane, ti ammazzo il figlio, ti violento la moglie, ti brucio la casa, …’. Ritengo che il giallo di Erba e la condanna di Rosa e Olindo, a prescindere dalla verità, siano caratterizzati dall’elemento rivelatore e oggettivo che le indagini furono confuse, pressappochiste e a senso unico, che vennero commessi molti errori, che ci fu il maledetto innamoramento dell’intuizione investigativa divenuto poi innamoramento della teoria causa il pregiudizio: questo, a prescindere se i due siano colpevoli o innocenti. Ulteriore elemento è che non possiamo assistere al tifo da stadio fra innocenti e colpevolisti senza che quest’ultimi siano a conoscenza dei dettagli del crimine, delle indagini preliminari, degli accertamenti tecnici, degli elementi nascosti dall’arroganza del potere e dall’ipocrisia investigativa“.
Quindi anche Lei ha fatto una scelta di campo.
“Apprezzo moltissimo il lavoro svolto dall’avvocato Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D’Ascola e Patrizia Morelli, dai loro numerosi tecnici e dai giornalisti investigativi che hanno scavato a fondo senza fermarsi, come Edoardo Montolli, Felice Manti, Monteleone ed altri: con i suddetti ho avuto il piacere di parlare e confrontarmi: questi hanno lavorato duro e controcorrente, inimicandosi i “potenti”. Non apprezzo invece quei giornalisti che hanno sposato le ipotesi dell’accusa per il maledetto vizio di fare “copia/incolla” delle ipotesi degli inquirenti e dell’impianto accusatorio, per poi diventarne la cassa di risonanza e… scrivere tanto, così ottenendo plausi e sorrisi: il giornalismo d’inchiesta sollecita, critica e pungola gli inquirenti, non deve sviolinare e dedicarsi alla “captatio benevolentiae”.
Secondo Lei quali sono i punti di forza della difesa di Olindo e Rosa?
“Innanzitutto sono i numerosi punti deboli delle indagini preliminari e della sentenza, le numerosi contraddizioni rese dai due perché mal difesi e fuorviati (quando ancora non c’era Schembri), le numerose forzature investigative per fare quadrare il cerchio, le contraddittorie dichiarazioni di Frigerio che sicuramente non aveva riconosciuto Olindo, ma poi si è adattato, è entrato in stato eteronomico, ha ceduto e si è allineato al “rispetto della pubblica potestà”. E non dimentichiamo che, a parte le chiacchiere, sulla scena del crimine non vi sono tracce di Rosa e Olindo e che su di essi e sulle loro pertinenze non vi è traccia del crimine: vi sono solo travisamenti e forzature ideologiche“.
Come andrà a finire?
“Non possiamo saperlo, l’importante è che i Giudici possano lavorare serenamente, che siano impermeabili alle pressioni di casta, che siano freddi, obiettivi, coraggiosi e onesti intellettualmente: elementi per rifare il processo ci sono, sono diversi e tutti validi: non bisogna temere la ricerca della verità e di trovare errori”.