Una storia drammatica quella che riguarda un povero bambino palestinese, morto durante il supporto degli aiuti umanitari
Lo scorso novembre Zein Oroq, ragazzo palestinese, è sopravvissuto miracolosamente a un bombardamento aereo che ha distrutto la propria casa e ucciso 17 membri della sua famiglia. Un episodio che il nonno – Ali – non ha esitato a un miracolo: “Quando la nostra casa è stata colpita da un raid, lui è emerso dalle macerie con ferite alla testa, alla mano e alla gamba. Allora Dio lo salvò“. Qualche ferita, più o meno grave, era il semplice bilancio di quella che poteva rivelarsi una tragedia al completo, l’ennesima di un territorio vittima ogni giorno di episodi come questo.
La drammaticità della guerra, d’altronde, si descrive perfettamente in queste immagini. C’è chi ordina di sganciare una bomba e chi, sotto un aereo, prega nella speranza di non essere colpito. Una rappresentazione macabra, seppur forse cinica, di uno scenario in cui dramma e terrore sono la quotidianità di un popolo. Un mondo in cui il civile paga le scelte di chi, alla fine dei conti, resta al sicuro lontano dalla strage che ha causato. È la storia di Zein, un povero tredicenne miracolato ma, probabilmente, per troppo poco tempo.
Una morte sfortunata
La scorsa settimana, infatti, il giovane eroe è morto in seguito a un tragico incidente. Lui, che si era salvato dal fuoco nemico, dalle esplosioni e dai bombardamenti, non ha potuto far niente davanti a quello che, in qualche modo, si è rivelato il ‘fuoco imprevisto’ degli aiuti umanitari. Durante la consegna di un pacco alimentare, Zein si è fiondato verso questo per raccoglierlo, ma la sfortuna ha voluto che un altro di quelli in caduta dagli aerei, impattasse esattamente sulla sua testa. Un colpo duro, troppo per evitare il peggio. Zein è morto così, dopo la salvezza di qualche mese prima, mentre era in preda alla voglia di sfamarsi con quel po’ di riso.
“Mentre i paracadute scendevano, è stato colpito. Nessuno lo ha notato. È stata una vera corsa, tutti avevano fame” ha testimoniato ancora una volta Ali, per poi continuare: “Aveva un profondo squarcio alla testa e fratture al bacino, al cranio e all’addome, probabilmente la folla ha fatto il resto“. Anche il padre, Mahmoud, ha espresso poi tutto il suo dolore: “Mio figlio era così prezioso. Era la mia roccia, tutta la mia vita, la mia prima felicità in questo mondo, il mio figlio maggiore“. Il suo caso, purtroppo, non è il primo. In Palestina il 5 marzo anche altre cinque persone sono morte a causa di un paracadute che non si è aperto. Un prezzo troppo caro per una guerra che non sembra voler finire.