La riforma è partita a fine aprile ed è in atto da almeno un po’ di tempo con gli accordi sottoscritti da tutti i paesi, tranne l’Italia
Più rigido, molto meno flessibile e con più di qualche accordo rivisto e rivisitato. E’ la riforma del Patto di stabilità che è entrata in vigore martedì scorso 30 aprile e si fonda sulla proposta che la Commissione Europea ha portato avanti nell’aprile del 2023, dopo aver ripetutamente sondato il terreno e aver discusso con gli Stati per molti mesi.
C’è da segnalare che, come sanno bene i parlamentari europei italiani, la proposta della Commissione è stata modificata in misura significativa dal Consiglio, facendola ancora più complessa rispetto a prima. Quello che ha mandato un po’ in crisi il sistema e le convinzioni che c’erano prima sull’accordo trovato mesi fa, sono stati i testi che alla fine è stato un compromesso voluto dalla Germania, soprattutto da parte del ministro delle Finanze Christian Lindner. Lui è uno dei “nemici” e ha cercato, con successo, di modificare in qualche modo i testi e farli ancora più rigidi.
Il ministro tedesco ha spinto per modificare renderlo più rigido
Secondo le modifiche che sono state attuate, sono tre principalmente tre atti legislativi: una sorta di nuovo regolamento che prende il posto dei preventivi stipulato del patto di stabilità, un regolamento che corregge di fatto il patto (e lo rende poco più rigido) e una direttiva specifica, che regola in modo dettagliato le regole di bilancio in cui gli Stati membri che hanno firmato si devono attenere. Una mossa che ha preso di sorpresa anche alcuni (se non tutti) i parlamentari italiani.
C’è un “ma” grosso quanto una casa sul fatto che il compromesso raggiunto non produrrà un quadro regolatorio in grado che i Paesi Ue possano fare enormi investimenti che, secondo quanto si apprende da Bruxelles, sarebbero sufficienti e soprattutto necessari per migliorare le capacità nel campo della difesa (von der Leyen spinge per rinforzarla) e soprattutto per compiere la famosa transizione verde e digitale. Gli Stati Ue ad alto debito dovranno fare scelte nella spesa, probabilmente dolorose, ma comunque meno pesanti di quelle che sarebbero state necessarie se fosse tornato in vigore il ‘vecchio’ patto di stabilità.