L’Italia si è astenuta sulla risoluzione dell’Assemblea generale Onu che riconosce la Palestina come qualificata a diventare membro delle Nazioni Unite.
Gli altri astenuti sono Albania, Bulgaria, Austria, Canada, Croazia, Fiji, Finlandia, Georgia, Germania, Lettonia, Lituania, Marshall Island, Olanda, North Macedonia, Moldavia, Paraguay, Romania, Vanuatu, Malawi, Principato di Monaco, Ucraina, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera.
I nove Paesi che hanno votato contro sono Usa, Israele, Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina, Cecoslovacchia.
Sembra ancora più lontana la soluzione “due popoli e due Stati” per porre fine una volta per tutte alla guerra tra Israele e Palestina e la situazione è ancor più difficile sul campo, specie in questi giorni per l’operazione delle forze israeliane a Rafah. I rapporti tra gli Stati Uniti e Israele sono sempre più distanti.
Ne abbiamo parlato con Matteo Giusti, giornalista e scrittore, collaboratore della rivista Limes.
Il voto dell’Onu cambierà le sorti del conflitto?
“Assolutamente no. Le Nazioni Unite sono un carrozzone, ormai praticamente ininfluente, con un sistema anacronistico a 5 Paesi che hanno il veto per una guerra finita nel 1945, e che non ha più senso. Tutte le decisioni importanti vengono prese fuori. L’Onu è un organismo troppo grande e facilmente controllabile dalle 5 Nazioni, quindi questo è l’ennesimo atto inutile dell’Onu”.
Netanyahu ha dichiarato di non avere scelta. Se non verrà sconfitto, Hamas riprenderà il controllo di Gaza, con il rischio per Israele di un altro 7 ottobre. Cosa ne pensa?
“Penso che Netanyahu ormai sia prigioniero della sua posizione. È considerato irremovibile, uno che non vuole trattare con Hamas e prigioniero dell’ala estremista del suo governo. Più di un ministro fa pressioni da destra. Inoltre Netanyahu deve rispondere a un elettorato molto di destra, convinto che non esista trattativa con Hamas. Tanti in Israele credono che non sia possibile fermarsi. Lo stesso presidente Isaac Herzog comincia a vacillare e non parla più della possibilità di due Stati. Netanyahu si sta arroccando nella parte più estremista del suo governo, che in realtà è molto importante e ha un seguito popolare ancora fortissimo. Non ci illudiamo che gli israeliani siano così moderati, progressisti e aperti a una trattativa che porti a due Stati e alla soluzione palestinese. L’unico che sta tentennando è Binyamin Gantz, che potrebbe rompere il governo di unità nazionale di Netanyahu. Ma non credo che questo avverrà a breve termine”.
Negli ultimi giorni gli Usa hanno deciso di fermare parte della fornitura di armi. Ma Netanyahu ha spiegato di averne a sufficienza per affrontare le missioni programmate, inclusa Rafah. Stati Uniti e Israele sembrano sempre più lontani. È così?
“Israele porta avanti il mantra che se nessuno vuole aiutarlo, farà da solo. Ha le armi, perché gli Usa lo hanno sempre rifornito per decenni. Inoltre esiste il mercato delle armi, dunque non sarebbe difficile procurarsele”.
Negli Usa c’è un movimento pro-Palestina molto forte.
“Anche la posizione di Joe Biden è complicata. Lui ha pressioni interne fortissime per non abbandonare Israele, ma anche per prenderne le distanze. Le Università americane ribollono di proteste pro-Palestina e questo è un anno di elezioni. Biden rischia di perdere voti a sinistra per la sua posizione pro-Netanyahu e anche voti a destra per la sua posizione poco contro Israele”.
La fine di questo conflitto è possibile o no?
“Intanto Netanyahu dovrebbe capire che non può distruggere Gaza completamente e che deve arrivare a una trattativa. Gli egiziani sono esasperati, stanno facendo di tutto per arrivare a una trattativa. C’è un’intransigenza da parte di Israele ma anche da parte di Hamas. Si odiano profondamente. Hamas ha nello statuto – anche se poi è stato riformato – la distruzione di Israele. E per Israele, Hamas è un’organizzazione terroristica da eliminare”.
Serve l’intervento di mediatori.
“L’unica soluzione è mettere insieme un pool di mediatori internazionali, che abbiamo la forza di ascoltare. Gli Usa non devono ritirarsi dalla trattativa, ma fare ancor più pressioni. Serve poi il supporto dell’Egitto e del Qatar dall’altra parte, deve essere coinvolto l’Iran. Inoltre, bisogna smettere di finanziare Hamas e sedere tutti a un tavolo per fare un piano in tre fasi come quello portato avanti da Il Cairo e con un governo tecnico, riportare i palestinesi a votare. Ma Hamas non deve candidarsi. La Palestina dovrebbe tornare nelle mani della corrotta e screditata autorità nazionale di Abu Mazen, sperando di cambiare i vertici che ormai non sono più presentabili”.