Si esclude l’ipotesi di un attentato dietro la morte di Ebrahim Raisi, rimasto coinvolto con il suo entourage in un incidente in elicottero nell’Azerbaigian iraniano.
Il presidente iraniano è morto con il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, il governatore della provincia iraniana dell’Azerbaigian orientale e altri funzionari e guardie del corpo. Tutti avevano partecipato all’inaugurazione di una diga sul fiume Aras.
L’ipotesi di un attentato è stato escluso dalla Mezzaluna Rossa iraniana, che ufficialmente ha parlato di un incidente. Abbiamo chiesto un parere all’esperto Matteo Giusti, giornalista di Limes.
Secondo lei morte di Raisi è stato un incidente o un attentato interno?
“Si tratta di una perdita molto importante. Raisi non era solo il presidente dell’Iran, ma anche il possibile successore di Khamenei. Il regime iraniano non aveva alcuna intenzione ad eliminarlo, perché era un conservatore cresciuto all’interno degli apparati e da magistrato aveva represso con ferocia ogni tipo di dissidenza. Non è un regolamento di conti interno”.
Allora potrebbe essere stato un attentato esterno?
“Escluderei un attacco con missili terra-aria, per vari motivi. Innanzitutto perché i movimenti dell’elicottero presidenziale sono segreti, poi perché sarebbe stato molto clamoroso. Resta l’idea di una possibile bomba o una manomissione, ma è poco probabile. È più plausibile l’ipotesi di un incidente, anche se è avvenuto nella regione più complicata dell’Iran, l’Azerbaigian iraniano, al confine con l’altro Azerbaigian, dove ci sono molte proteste e un forte distacco dal governo di Teheran. È un Paese che osteggia l’Iran, che ha forti rapporti con la Turchia e non ha cattivi rapporti con Israele. Quindi se il regime iraniano non ha accusato Israele, è chiaro che non è stato un attentato“.
Da cosa potrebbe essere stato causato l’incidente?
“Parliamo di un elicottero molto vecchio. È americano e fa parte di una partita ordinata dallo Shah di Persia, che è stato detronizzato 45 anni fa. La manutenzione è complicata perché c’è un embargo e le sanzioni non permettono di far arrivare i pezzi di ricambio. A questo, aggiungiamo le montagne molto alte della zona, la nebbia fittissima e il maltempo”.
Morte Raisi, cosa cambia nella politica interna ed estera
L’Iran ha fatto sapere che non ci saranno vuoti di potere. Cosa succederà nella politica interna di Teheran adesso?
“Subentrerà il vicepresidente ed entro 50 giorni si voterà. Khamenei dovrà trovare un sostituto di Raisi, ma non sarà semplice. Il vicepresidente è considerato troppo morbido e non verrà scelto, anche se è appoggiato da una buona parte politica. Cercheranno un personaggio intransigente, un altro falco, in grado di forzare un regime che fa sempre più fatica a tenere la popolazione. L’Iran è una popolazione giovanissima che non è più interessata alla rivoluzione islamica del ’79 e guarda all’Occidente, gli Usa e l’Europa con grande interesse. Dunque, c’è un forte distacco tra i governanti iraniani e l’elettorato giovane. Serve qualcuno che aiuti gli Ayatollah a tenere il controllo con fermezza”.
Quali saranno le conseguenze della morte di Raisi nella politica estera?
“L’Iran è molto attivo in politica estera, ma il ministro degli Esteri è una pedina nelle mani del Consiglio dei guardiani degli Ayatollah. Ha un ruolo da esecutore, tecnico, non prende decisioni che non siano già state prese dai superiori. In politica estera, l’Iran resterà vicina al gruppo Russia-Cina-India e continuerà un lavoro di tessitura internazionale con l’asse della resistenza degli Houti yemeniti, Hezbollah libanesi e la stessa Hamas. Non cambierà nulla, anche se è possibile che per il delicato momento che vive il Medio Oriente, ci sarà un’apertura per mettersi al tavolo e forzare Hamas a trattare. Il Qatar non riesce più ad avere questo ruolo ed è possibile che espellerà i rappresentanti di Hamas nel suo territorio. Questi ultimi però, sanno già dove andare: in Oman”.