“Gli esempi Usa, Francia e Gran Bretagna sono in crisi e dimostrano che l’elezione diretta di chi governa non funziona perché le società sono frammentate e polarizzate”.
Ai microfoni di Notizie.com, il costituzionalista Massimo Villone espone le proprie riserve sul premierato e su certi punti del testo è d’accordo con Marcello Pera. “Bisogna fare un po’ di tara a ciò che dice, perché com’è noto lui premeva molto che si scegliesse il percorso di una bicamerale di cui lui fosse il presidente. Ha un piccolo conto da saldare, ma dice cose vere”.
Il senatore di Fratelli d’Italia ha espresso alcune perplessità sul testo del premierato voluto dalla sua maggioranza, definendolo “difettoso” e sottolineando alcune “incongruenze” sul voto di fiducia, sui contrappesi, su uno statuto per le opposizioni e soprattutto sulla legge elettorale, che dovrebbe essere decisa prima di approvare la riforma.
Mentre la riforma continua il suo iter verso l’approvazione, non si esclude la possibilità di un referendum. La premier Giorgia Meloni ha fatto sapere che nel caso in cui i cittadini bocciassero la riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio, non si dimetterebbe. “Chissà com’è arrivata a Palazzo Chigi”, tuona Villone, “non credo che si dimetterebbe in nessun caso. Se si dimette non è detto che ci torni presto e bene. E non penso che il referendum sia il punto nodale di questa eventuale scelta”.
Professore Villone, su cosa ha ragione il senatore Pera?
“Mettere in Costituzione l’elezione diretta del premier senza una legge elettorale è un punto di incertezza. Ma penso che Giorgia Meloni abbia in mente un modello molto preciso per questa innovazione che vuole mettere in campo: l’elezione diretta con la garanzia di una sua maggioranza in Parlamento”.
Dunque un sistema maggioritario?
“C’è ancora aria di incertezza e non siamo ancora alla stesura finale del testo. Ma è probabile che ci sarà l’elezione diretta con un modello generico indicato, del tipo maggioritario. Perché questo è l’unico che consentirebbe al premier di avere una sua maggioranza. Pera inoltre, ha ragione anche sul punto della fiducia”.
Si spieghi.
“Se il premier è eletto direttamente, allora a cosa serve la fiducia? Cosa succede se il Parlamento smentisce il popolo sovrano? Probabilmente Meloni risponde che si tornerà a votare. Bisognerà vedere quale sarà il punto di caduta di queste due spinte contrapposte, perché se da un lato è chiaro che Pera non è un sostenitore del modello Meloni, è altrettanto chiaro cos’ha in testa la premier”.
Ma lei è critico nei confronti del testo in esame oppure nei confronti del premierato in sé?
“Io sono sfavorevole al premierato in sé. L’elezione diretta di chi governa non è l’azione migliore. I modelli del presidenzialismo Usa, del semipresidenzialismo francese e anche quello della Gran Bretagna, sono tutti in crisi. In varia forma, questi modelli prevedono un sistema di elezione diretta di chi governa e sono tutti in difficoltà perché le società sono frammentate e polarizzate. Non vale più il vecchio principio del voto che unifica verso il centro che reggeva il modello dell’elezione diretta. Oggi si votano gli estremi. Mai come ora è preferibile il modello della rappresentanza parlamentare, che in qualche modo filtri le contrapposizioni e le diversità, e consenta unificazione, mediazione e sintesi”.
È un dato di fatto che i governi non sono stabili.
“Perché le maggioranze sono frammentate. Se il premier eletto avesse a sostegno una maggioranza rissosa, non cambierebbe nulla”.
Seguendo il suo ragionamento, va cambiata la legge elettorale.
“Una nuova legge elettorale è necessaria. Quella attuale ha dato a una coalizione con il 44% dei voti, il 59% dei seggi e qualcosa in più. Un premio di maggioranza notevole che sta consentendo di “rivoltare il Paese come un calzino”, per citare Meloni stessa (nel 2022 ndr.) Abbiamo un sistema in cui i parlamentari sono nominati e non scelti davvero dai cittadini con liste bloccate. Le oligarchie dei partiti decidono chi va in Parlamento e portano con sé i fedeli piuttosto che chi esprime gli interessi del territorio. Abbiamo il Parlamento meno rappresentativo in assoluto della storia della Repubblica”.