La tecnologia continua a fare passi da gigante e l’ultima frontiera raggiunta dall’IA lascia letteralmente tutti senza parole
Pancho, un giovane colpito da ictus a soli 20 anni, ha vissuto sulla propria pelle le difficoltà che derivano dalla paralisi di gran parte del corpo. Tuttavia, a 30 anni la sua vita può rifiorire grazie all’incontro con Edward Chang, neurochirurgo di spicco presso l’Università della California di San Francisco.
Chang e il suo team hanno avviato uno studio rivoluzionario che ha visto Pancho protagonista: gli sono stati impiantati chirurgicamente degli elettrodi sulla corteccia cerebrale per registrare l’attività neurale e tradurla in parole visualizzabili su uno schermo.
Questo esperimento segna un traguardo importante nel campo delle neuroprotesi per il ripristino del linguaggio. Per la prima volta, è stato possibile aiutare una persona bilingue, incapace di articolare parole a causa dell’ictus, a comunicare sia in spagnolo che in inglese attraverso l’utilizzo di un dispositivo guidato da intelligenza artificiale (AI).
Il sistema AI decodifica in tempo reale ciò che il paziente sta cercando di dire nei due idiomi. I risultati dello studio sono stati pubblicati recentemente su ‘Nature Biomedical Engineering’, offrendo nuove prospettive sul funzionamento del cervello umano nell’elaborazione del linguaggio. Queste scoperte potrebbero portare allo sviluppo di dispositivi duraturi capaci di ripristinare la capacità comunicativa multilingue nelle persone affette da disturbi verbali. Sergey Stavisky, neuroscienziato dell’università della California di Davis non coinvolto nello studio, sottolinea l’importanza dei risultati ottenuti e l’impatto potenziale sul futuro delle neuroprotesi linguistiche.
Il team guidato da Alexander Silva ha sviluppato un sistema AI specificamente addestrato con quasi 200 parole tentate da Pancho. Ogni tentativo creava uno schema neurale distinto registrabile dagli elettrodi impiantati. L’applicazione dei moduli AI spagnolo e inglese alle frasi pronunciate ha permesso una distinzione tra i due idiomi basata sulla prima parola con un’accuratezza dell’88% e una decodifica corretta delle frasi con precisione del 75%.
Gli autori dello studio hanno osservato aspetti sorprendenti riguardanti l’elaborazione linguistica nel cervello umano. Contrariamente ad alcune teorie precedenti basate su strumenti non invasivi, i dati raccolti mostrano che lingue diverse possono attivare le stesse aree cerebrali. Inoltre, le risposte neurologiche di Pancho non differiscono significativamente da quelle dei bambini cresciuti bilingui nonostante abbia appreso l’inglese solo dopo i trent’anni.
In conclusione, lo studio condotto sul caso di Pancho apre nuove frontiere nella comprensione della mente umana e nell’applicazione delle tecnologie AI al servizio della riabilitazione linguistica post-ictus o altre patologie simili. La ricerca dimostra come lingue diverse possano condividere caratteristiche neurologiche comuni e suggerisce possibilità promettenti per future applicazioni personalizzate in ambito medico.