L’assassino della povera Cecchettin ha raccontato di come ha ammazzato la ragazza e il motivo per cui l’ha fatto
“Ho ucciso Giulia in questo modo, lei continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia, poi le ho dato una coltellata nell’occhio, ma lei già non c’era più…” E’ il racconto gelido, agghiacciante e, quasi senza rimorso, quello che Filippo Turetta fa davanti ai magistrati quando è stato arrestato e condotto al carcere di Verona per spiegare l’assassinio di Giulia Cecchettin.
Parole che fanno rizzare la pelle e tutto nel corpo. Lui, Filippo Turetta, parla davanti ai magistrati e racconta ogni cosa nel minimo dettaglio, anche del fatto che ha tento di togliersi la vita due volte ma che alla fine “non ce l’ho fatta“. Filippo Turetta ha provato a togliersi la vita dopo aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Lo dice lui stesso nel carcere di Verona, durante l’interrogatorio dello scorso primo dicembre davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni. Si è partiti su quanto accaduto l’11 novembre, il giorno dell’assassinio, quando, dopo una serata trascorsa insieme riaccompagna a casa Giulia ma i due discutono c’è una lite e una duplice aggressione prima nel parcheggio sotto casa a Vigonovo (Padova), poi nella vicina zona industriale di Fossò, dove l’ha uccisa e fino alla decisione di portare lontano il corpo senza vita della ventiduenne.
«Volevo darle un regalo- ha continuato nell’interrogatorio- una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava `sentendo´ con un altro ragazzo». E ancora: «Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando “Sei matto, vaf..lo, lasciami in pace”» racconta al pm.
«Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava “aiuto” ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore».