Ripristinare e aumentare le aree verdi in città: dal 2031 sarà obbligatorio farlo, come indicato nell’Atlante Ispra 2024
Ripristinare le aree urbane a partire dal 2031. Non significa “riqualificare” in termini edilizi ma procedere secondo due direttrici: aumento delle aree verdi – sia per quanto concerne spazi pubblici e privati – e incremento delle coperture arboree. Vale a dire, in quest’ultimo caso: piantumare un numero tale di alberi da garantire un minimo di ossigeno in città sempre più cementificate e intasate dal traffico.
Questo, in sintesi, l’obiettivo del regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) entrato in vigore il 18 agosto del 2024. Secondo tale regolamento, tutti gli Stati membri dell’Unione Europea devono assicurare il ripristino di almeno il 20 percento delle aree cosiddette degradate: senza aree verdi. Compresi gli ecosistemi urbani, ossia: quelli in cui viviamo ogni giorno. “Zone che coincidono, in genere, con i territori comunali – spiega a notizie.com Michele Munafò, dirigente dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
Proprio l’ISPRA ha presentato il suo Atlante dei dati ambientali 2024: una mappatura degli ecosistemi urbani di cui i Comuni dovranno assicurare il mantenimento. E non solo. Come precisa Munafò, che è anche tra i curatori dell’atlante: “Per quanto riguarda aree verdi e alberature, il regolamento europeo chiede di mantenere la medesima estensione da qui al 2030.” In sintesi: non cementificare aree pubbliche, non estirpare zone verdi private e non decimare le alberature per quanto concerne viali, piazze e così via.
“Dal 2031 – continua il dirigente ISPRA – il regolamento impone di aumentare progressivamente queste aree. Anche in quegli ecosistemi urbani che possiamo definire, seguendo tali criteri, più degradati. Ossia: con alta popolazione urbana a fronte di una scarsità di aree verdi.” In estrema sintesi, si potrebbe dire che l’obiettivo è quello di portare nuova vegetazione negli spazi urbani.
Quali sono queste aree individuate nel rapporto dell’ISPRA? Partiamo da un dato preliminare: in Italia, secondo il regolamento Ue, il 28 percento dei Comuni italiani (pari, quindi, a quasi un terzo) dovranno ripristinare le proprie aree urbane. Una percentuale che sale al 40 se consideriamo anche le zone periurbane, vale a dire: quelle che nel linguaggio comune chiamiamo periferiche e che, spesso, sono oggetto di maggior estensione edilizia.
Seguendo il profilo dello Stivale, dove sono concentrate maggiormente queste aree dove sarà necessario intervenire? Le mappe parlano chiaro: la Puglia è la regione con la maggior presenza di “nuclei urbani densi” e “grandi centri urbani”, in particolare nella provincia di Bari. Giova ricordare, in tal caso, che il rapporto non tiene in considerazione la “semplice” quantità di popolazione residente in un luogo: bensì il rapporto esistente tra le aree verdi e le zone urbanizzate.
Altra area dove la situazione appare particolarmente critica è quella di Napoli e provincia. Parametro che era già stato evidenziato da Legambiente nel suo rapporto sul verde urbano, dove si sottolinea come a Napoli si sarebbero dovute piantumare ben 54.700 nuove alberature, considerando anche il massiccio numero di abbattimenti effettuato in tutta la città metropolitana negli ultimi anni. “Non sono state realizzate molte nuove messe a dimora di piante, mentre sono stati molti gli abbattimenti e compromissioni degli alberi esistenti”, scrive infatti Legambiente nel suo rapporto #semprepiuverde2024.
In generale, sono poi i grandi centri urbani come Roma e Milano a dover procedere al ripristino richiamato anche dal rapporto Ispra. Così come la fascia adriatica ricompresa nella zona romagnola, aree che negli ultimi tempi – come noto – soffrono pesanti conseguenze dal punto di vista delle alluvioni e della pericolosità idraulica. Proprio su quest’ultimo punto si sofferma Munafò, che specifica come un’intera sezione del rapporto ISPRA affronti proprio la pericolosità idraulica diffusa sul territorio nazionale.
“Partiamo dal concetto – ci dice Munafò – che l’obiettivo del regolamento europeo è quello di rendere le nostre città più resilienti ai cambiamenti climatici. Rendere le aree urbane più verdi significa renderle anche più permeabili: fare in modo che l’acqua piovana, per dirla in modo semplice, alimenti il terreno e non scorra in superficie con i risultati che troppo spesso abbiamo sotto gli occhi.”
Secondo il rapporto ISPRA, le aree italiane a pericolosità idraulica media sono il 10 percento del totale, mentre quelle a pericolosità elevata sono il 5 percento. Anche in questo caso, come evidenziato poco fa, l’Emilia-Romagna si conferma come il territorio più fragile in tal senso: il 45 percento delle aree regionali presentano un’elevata pericolosità di rischi alluvionali, idrogeologici e idraulici.
Scorrendo il rapporto, abbiamo poi la Calabria con il 17 percento delle aree esposte a tale tipo di pericolosità; il Friuli-Venezia Giulia con il 14,6 percento; il Veneto al 13,3 percento e la Toscana al 12. “C’è però un po’ di disomogeneità dei dati – avverte Munafò – in quanto sono percentuali che si basano sulle informazioni che provengono dalle singole regioni. Non sono dati che elaboriamo direttamente noi.” A livello nazionale, in definitiva, si stima che almeno un milione e mezzo di edifici si trovi in zone a pericolosità media: “Stiamo parlando di circa 2 milioni di persone – precisa Munafò – numeri che fanno comprendere il livello di pericolosità di alcune aree del nostro Paese.”
Un ulteriore punto evidenziato dal dettagliatissimo Atlante (che si ricollega direttamente a quello precedente) è quello relativo ai cambiamenti climatici. Il 2023, rilevano gli esperti dell’istituto, è stato il secondo anno più caldo della serie dopo il 1961. Superato solo dall’anno precedente: il 2022. Il decimo anno consecutivo in cui si è registrato un aumento complessivo delle temperature. “Nel nostro Paese – spiega Munafò – la temperatura media nell’ultimo è stata di 1,14 gradi più elevata rispetto al valore normale di riferimento.”
Un trend che si riflette anche sui valori medi di temperatura delle acque: “L’aumento di temperature più evidente nei mari si è verificato lungo tutte le coste adriatiche e nel Tirreno nord-occidentale – conclude Munafò – questo significa che i territori devono adattarsi anche al sempre crescente riscaldamento globale. Ecco perché, e chiudo il cerchio, aumentare le coperture arboree significa ripristinare gli ecosistemi che vanno via via degradandosi. Non è banale ricordarlo: la vegetazione consente un raffrescamento urbano non indifferente. Se a questo poi associamo l’aumento della capacità di trattenimento delle acque durante fenomeni metereologici intensi, capiamo bene come sia ormai necessario attuare le direttive imposte dal regolamento.”