Gaza, l’altra voce della guerra: “Temo di non poter allattare il mio bambino“. La resilienza delle donne, vittime di violenza e mamme.
È già trascorso un anno da quando il 7 ottobre 2023 Israele ha dichiarato lo stato di guerra, preparandosi a un lungo conflitto per sconfiggere il terrorismo di Hamas a Gaza. Da allora, “in nome della democrazia” molte persone innocenti continuano a morire.
Di infanzia negata e violenza sulle donne si parla molto poco. Storie che se ascoltate, arrivano dritte al cuore come un proiettile. “Le donne palestinesi stanno vivendo una crisi devastante, esposte a violenza di genere e a un sistema sanitario al collasso, che lascia molte senza cure essenziali”.
A parlare è Riham Jafari, coordinatrice per l’advocacy e la comunicazione di ActionAid Palestina. “La loro situazione è insostenibile – aggiunge – e richiede un’azione immediata”. Una nuova ricerca dell’ong mira a far luce proprio sull’impatto della violenza sulle donne e il ruolo molto importante che svolgono all’interno della società palestinese.
L’esigenza degli aiuti umanitari è fortissima in tutto il Medio Oriente e anche Sabine Abiaad, coordinatrice regionale delle campagne ActionAid, che vive a Beirut con la sua famiglia, ha lanciato un appello in questo senso: “Nelle ultime ore abbiamo visto il periodo più difficile e terrificante da quanto è iniziata questa escalation di attacchi. Le esigenze sul campo sono in rapido aumento”.
Negli ultimi mesi a Gaza sono morte 41mila persone. Tra queste ci sono più di 16mila bambini. In Cisgiordania hanno perso la vita in 700, tra cui 116 minorenni. Persone innocenti stanno pagando il prezzo di una guerra “giusta”, che vuole far valere i principi democratici.
Quotidianamente vengono colpiti ospedali e scuole. ActionAid, attraverso gli operatori sul posto, continua a lavorare per stare accanto a donne e bambini. “Cessate il fuoco e le ostilità in tutta la Regione”, è il loro appello.
Gaza, la piccola Myriam: “I miei libri ridotti in cenere, voglio tornare a scuola”
“La mia casa non c’è più, i miei libri sono stati ridotti in cenere. Ora vivo nella mia scuola, che è stata trasformata in un rifugio. Vorrei che la guerra finisse, vorrei tornare a scuola per imparare”. Sono le parole di Myriam, una bambina di Gaza che ActionAid sta cercando di aiutare. La sua rappresenta una delle tante voci di un’infanzia negata sotto le bombe.
Il conflitto non sta risparmiando neppure le donne adulte, che sono sottoposte a forte stress e traumi. Dal 7 ottobre 2023, l’85% delle persone che vivono sulla Striscia di Gaza è stato soggetto a ordini di evacuazione continui. Questo ha generato un sentimento di instabilità, soprattutto nelle donne, che si trovano a dover subite anche abusi e violenze.
ActionAid denuncia l’assenza di supporto psicologico e la perdita di privacy e sicurezza. “L’accesso a spazi sicuri per chi ha subito violenza sessuale e di genere si è ridotto drasticamente – a causa degli sfollamenti ripetiti, della carenza di fondi e delle difficoltà di comunicazione”, scrive l’associazione. A ciò si aggiunge anche il crollo del sistema legale a Gaza, che allontana ancora di più da queste donne il diritto alla giustizia.
“Durante la gravidanza non riuscivamo a trovare cibo. Quando ho scoperto che aspettavo due gemelli, uno era già morto”. Così racconta Iman, che ha partorito con un taglio cesareo all’ospedale di Al Awda. La sua testimonianza arriva tramite ActionAid: “Ora temo di non aver abbastanza cibo per allattare il mio bambino. Le madri e i neonati a Gaza hanno bisogno di nutrimento e cure, ma non ce ne sono”.
Storie di diritti negati, ma anche di voglia di rimboccarsi le maniche aiutare. Le donne sono diventate figure di riferimento nelle loro comunità. “Mi sento impegnata ad aiutare le persone sfollate”, afferma con determinazione Samira, che ha perso casa e figli e oggi gestisce il campo per gli sfollati di Al-Istiqama.
“Alcune donne si inducono il parto per paura di perdere il figlio durante la fuga”
Risale ai mesi scorsi la denuncia di Save The Children sulle condizioni delle partorienti a Gaza. “Alcune donne hanno fatto scelte drastiche come l’autoinduzione del travaglio con l’uso di farmaci per paura di perdere il bambino in caso di fuga”, ha raccontato Sharifa Khan, ostetrica dell’Unità sanitaria di emergenza di Save The Children.
“Le donne e le ragazze in Palestina stanno dimostrando una resilienza straordinaria e stanno emergendo come leader nelle loro comunità”, spiega Riham Jafari di ActionAid. “È tempo che le parti locali e internazionali riconoscano il loro contributo, aumentando i finanziamenti alle organizzazioni da loro guidate, garantendo alle donne un posto ai tavoli decisionali sulla Palestina e sul suo futuro”.