Il Tribunale del Riesame di Napoli ha deciso che il 31enne hacker Carmelo Miano deve restare in carcere a Roma, a Regina Coeli.
A leggere il suo “curriculum”, Carmelo Miano ha vissuto molte vite. In passato ha collaborato con funzionari dell’Fbi, il Federal Bureau of Investigation statunitense, ma non solo. Ha rappresentato una preziosa risorsa anche per l’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna (per intenderci, i servizi segreti italiani) e per la polizia postale.
Importanti e delicate investigazioni internazionali spalla a spalla con l’intelligence, a caccia, ad esempio, di materiale pedopornografico sul web. Proprio il web è un mondo che non ha segreti per Carmelo, che si trova rinchiuso dal 1 ottobre scorso nel carcere romano di Regina Coeli. E qui dovrà restare, in attesa del processo, lontano da quei dispositivi che lo hanno reso noto alle cronache italiane ed internazionali. Il Tribunale del Riesame di Napoli, infatti, ha confermato per il giovane hacker 31enne di Gela la misura cautelare del carcere.
Il suo avvocato Gioacchino Genchi ne aveva chiesto a gran voce la scarcerazione. Motivi di salute, certo, ma anche il fatto che, avendo la Procura sequestrato a Miano praticamente ogni cosa, analogica e digitale, quest’ultimo non potrebbe inquinare in alcun modo le prove. Ma prima per i pm, per il gip e adesso per il Riesame, non è così. Il 4 ottobre scorso si era tenuto l’interrogatorio di garanzia. Secondi indiscrezioni, il gip era collegato da remoto via web, ed il collegamento audiovisivo era precario. Praticamente, il contrappasso per Carmelo.
E poi persisterebbe, secondo l’accusa e secondo i giudici interessati al caso, il pericolo di fuga: Carmelo ha contatti all’estero e molta disponibilità economica. Il legale aveva chiesto anche il trasferimento del procedimento giudiziario a Perugia, essendo stati sia i magistrati di Napoli sia di Roma “colpiti” dall’hacker, e dunque parte lesa secondo la difesa, nel corso proprio delle indagini a suo carico. Anche su questo punto il Riesame ha detto no.
Si dovrà attendere diversi giorni per le motivazioni. Molto probabilmente nel frattempo i pm partenopei titolari dell’inchiesta vorranno ascoltare nuovamente l’hacker. La Procura partenopea contesta a Miano i reati di accesso abusivo aggravato alle strutture e diffusione di malware e programmi software in concorso. Carmelo Miano ha ammesso le proprie responsabilità, raccontando nel dettaglio ciò che è riuscito a fare. In pochi anni è penetrato nei sistemi del Ministero della Giustizia, della guardia di finanza, di Tim.
Ha spulciato tra le mail di decine di magistrati (46 in totale, pare), ha esfiltrato moltissimi file. “Sistemi colabrodo”, secondo la difesa, e documenti mai distrutti né trasferiti a terzi. “Solo” un’ossessione per verificare come procedeva l’indagine a suo carico. E “solo” per quello, il 31enne che un tempo collaborava con l’Fbi è finito a scavare nelle mail della Giustizia. La Procura, però, non gli crede. I pm ipotizzano che ci sia altro, che Miano possa aver sfruttato le proprie capacità anche per altri scopi.
Approfondimenti sarebbero in corso sulla sua società, la Virtsys It srls, attiva dalla fine del 2022 e di cui Carmelo è socio unico ed amministratore unico. Consulenza informatica e telematica per aziende, società, Enti pubblici, studi professionali. E poi servizi di hosting cloud, gestione di mainframe e server, servizi evoluti a supporto di aziende e privati. Il server per fare tutto ciò era allocato negli Usa.
Un’attività florida quella di Miano: è passato dall’aver fatturato circa 40mila euro nel 2023 agli oltre 420mila nel 2024. Tutto tracciato anche all’Agenzia delle Entrate. Poi, però, ci sono anche i 7 milioni di euro in criptovalute ritrovati dagli investigatori, le presunte connessioni con il “Berlusconi market”, una piattaforma punto di riferimento per qualsivoglia compravendita illegale. Sono ancora molti i misteri che ruotano attorno a Carmelo e ai suoi amati computer. Disconnesso da quel mondo, adesso, giura di poter chiarire tutto.