Femminicidio-suicidio: Giuseppe Lacarpia, accusato dell’omicidio della moglie, si è tolto la vita nel carcere di Bari.
Ancora un caso di suicidio dopo un femminicidio. Questa mattina è morto nel carcere di Bari, dov’era rinchiuso, il 65enne Giuseppe Lacarpia. L’uomo si sarebbe impiccato. L’uomo era in prigione perché accusato dell’omicidio premeditato della moglie, la 60enne Maria Arcangela Turturo. Il delitto è avvenuto nella notte di domenica 6 ottobre in strada vicinale dei Pigni a Gravina in Puglia, in provincia di Bari.
Si tratta dell’ennesimo episodio riguardante uomini che si tolgono la vita o che tentano di togliersela dopo aver ucciso una donna. Una escalation che abbiamo approfondito ieri con un articolo dedicato. Tornando a Lacarpia, nei giorni scorsi si era tenuto l’interrogatorio di garanzia. Il 65enne, accusato di omicidio volontario aggravato dal legame di parentela, dalla premeditazione e dalla crudeltà, aveva detto al giudice che l’incendio dell’auto era stato causato da un incidente stradale. E che in realtà lui aveva provato a rianimare la moglie.
Una versione dei fatti smentita dalle testimonianze dei soccorritori, della polizia, della figlia della coppia, di alcuni passanti e da un breve video effettuato da una ragazza. Secondo la Procura della Repubblica di Bari e le forze dell’ordine, infatti, l’uomo aveva prima dato fuoco alla macchina mentre la moglie era ancora all’interno. Poi, quando la donna ha provato a fuggire, l’avrebbe immobilizzata a terra causandole fratture alle gambe e al torace.
La donna è morta poco dopo all’ospedale di Altamura nella notte tra sabato 5 e domenica 6 ottobre. Lacarpia era anche rimasto per alcuni giorni nel reparto per detenuti del Policlinico di Bari per le conseguenze cardiologiche di una caduta dal letto della sua cella. Poi, dopo qualche giorno, era tornato nel penitenziario. L’uomo soffriva di demenza senile e di Alzheimer ed era in cura da diversi anni. I figli, però, hanno più volte affermato che era sempre stato “lucido e presente a se stesso”.
Sul caso è intervenuto in queste ore anche il Sappe, il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che è tornato a denunciare la grave situazione di sovraffollamento e la carenza di personale che affligge la struttura penitenziaria. “Una condizione critica, aggravata – ha fatto sapere il Sappe in una nota – dal numero eccessivo di detenuti rispetto alla capienza regolamentare e dalla mancanza di unità sufficienti di polizia penitenziaria per garantire la sicurezza e il controllo adeguato”.
Come già accennato, ieri abbiamo discusso dell’escalation di femminicidi-suicidi con la sociologa Flavia Munafò, direttrice dello sportello di ascolto e prevenzione Socio Donna a Roma. “È un disegno che si ripete. – ha spiegato Munafò – Un fil rouge che accompagna i nostri giorni. Il problema di base è che vediamo degli atti gravissimi, incomprensibili, legati ad un suicidio successivo. Una sorta di presa di coscienza, pur avendo una grossa mancanza di responsabilità. Si è fatto un danno e si scappa dalle conseguenze. C’è un concetto di de-responsabilizzazione importante. Ci troviamo difronte ad atti drammatici e forse ancor più gravi. Non per un sentimento di vendetta, ma per mancanza di giustizia”.