Da un lato c’è la legge sulla gestazione per altri, dall’altro il giuramento di Ippocrate. “Non denunceremo i nostri pazienti”.
Pochi giorni fa la maternità surrogata è diventata reato universale in Italia, ma la legge presenta alcuni punti grigi che dovranno essere chiariti. Uno di questi: come si farà a provare il reato se nell’atto di nascita non viene indicato in che modo è nato il bambino?
Tra le ipotesi in campo per risolvere il dubbio c’è quella proposta dalla ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella: i medici, in quanto pubblici ufficiali sarebbero tenuti a “segnalare i casi di sospetta violazione della legge sulla maternità surrogata alla Procura. E poi si vedrà”.
Le sue parole hanno fatto balzare dalla sedia la comunità medica, che attraverso la voce del presidente Filippo Anelli, ha risposto: “Il nostro dovere è curare e siamo esentati dal denunciare la persona assistita”.
Il codice penale all’articolo 365 esime il medico dall’obbligo di denunciare. “Come vicepresidente Fnomceo, ma prima di tutto come medico, ho il massimo rispetto per le leggi. Tuttavia al primo posto c’è sempre la tutela dei pazienti, che devono poter rivolgersi a noi senza alcun timore”. Così, ai nostri microfoni Giovanni Leoni, vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo).
La gestazione per altri è vietata in Italia dalla legge 40 del 2004, ma il provvedimento nei giorni scorsi stabilisce che d’ora in avanti, verrà punita anche se praticata all’estero. La pena prevista va dai 3 mesi ai 2 anni di carcere e può essere applicata una sanzione pecunaria fino a 1 milione di euro.
“I ginecologi e i pediatri che sono i più coinvolti nella questione. Al di là della discussione di questi giorni, ci troveremo tutti attorno a un tavolo. Discuteremo della dimensione del problema e dell’applicazione sul campo delle decisioni del legislatore. Siamo disposti a capire come applicare questa legge”, ha aggiunto Leoni contattato da Notizie.com.
Ma l’ipotesi della denuncia non è in campo: “Come ha già dichiarato Anelli, il codice penale esime il medico dall’obbligo di denunciare quando il referto esporrebbe l’assistito a un procedimento penale. Soprattutto poi, non deve essere assolutamente a rischio la relazione di cura, perché si tratta della tutela del cittadino, che deve essere curato senza aver paura”.
Da un lato c’è la legge che rende la gestazione per altri reato universale in Italia. Dall’altro però, ci sono il Codice deontologico e il giuramento di Ippocrate. “Dobbiamo trovare un punto di equilibrio e una sintesi – aggiunge Leoni – Sa una cosa? La morale e l’etica medica sono sempre state costanti nel tempo. Sono sopravvissute al colonialismo, allo schiavismo, alle leggi razziali, alle discussioni su aborto e fine vita sulla possibilità di decidere o meno, alle guerre. La storia è sempre cambiata, ma non noi medici, che dai tempi di Ippocrate abbiamo sempre curato tutti indistintamente. Il nostro principio è sempre stato costante nel tempo”.
Il dubbio resta: come si farà a provare il reato della gestazione per altri se una coppia andrà all’estero in un Paese che non la considera tale? E se nell’atto di nascita del bambino non è scritto il modo in cui è nato?