Nuovi dettagli in merito all’inchiesta sulla banda di hacker dedita allo spionaggio ed ai dossieraggi: i contatti con gli 007 israeliani.
Israeliani legati all’intelligence avrebbero chiesto alla banda di hacker finita sotto inchiesta a Milano dati esfiltrabili dalle banche dati strategiche nazionali previo pagamento. L’inchiesta sul presunto gruppo criminale, condotta della Procura della Repubblica di Milano, è all’apparenza un pozzo senza fondo.
“La aiutiamo la Chiesa contro la Russia o no? Pro bono per il Papa?”. Parlano così alcuni degli indagati nell’inchiesta sulla banda degli hacker su cui stanno lavorando i pm milanesi. Agli atti dell’indagine sullo spionaggio e sul dossieraggio, anche conversazioni che lasciano intendere che alcune delle attività siano state patrocinate da Enti ecclesiastici.
Dunque l’interesse verso i politici, presidente della Repubblica Sergio Mattarella in primis, era già emerso. Poi la banca dati delle forze dell’ordine, dell’Agenzia delle Entrate, ed innumerevoli altre. Le indagini si stanno allargando a macchia d’olio, dai server all’estero ai cittadini russi spiati; dal centro operativo dall’Inghilterra ai dossier venduti a carissimo prezzo a clienti facoltosi.
Un lavoro immenso da tracciare e da rintracciare, tanto che la Procura lombarda ha trasmesso diversi atti alla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Roma. Al centro dello stralcio d’indagine che riguarda Roma ci sarebbero cinque ex appartenenti a forze di polizia che operavano in un appartamento nella zona di piazza Bologna, dove il gruppo aveva la sede di lavoro in un ufficio.
Bisogna ricordare che sabato scorso è partita l’operazione, con i carabinieri che hanno eseguito un’ordinanza di misure cautelari per 6 persone (in 4 sono finiti ai domiciliari) contro la banda di hacker che, visti i recenti sviluppi, avrebbe messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Gli indagati sono in totale 60, e la Procura si è rivolta al Riesame per chiedere la carcerazione di 13 persone.
Tornando al caso degli 007 israeliani, stando agli atti d’indagine il gruppo hacker avrebbe messo a disposizione dati esfiltrabili. L’intelligence dello Stato ebraico avrebbe proposto alla banda una partnership per trasferire informazioni. I colloqui sono stati intercettati dagli investigatori. I carabinieri hanno scattato anche fotografie. Inoltre negli uffici della Equalize, una delle società sottoposte ad indagini, sarebbero stati trovati atti riservati di Eni.
“Alla luce delle informazioni che stanno emergendo Eni ribadisce di non essere mai stata, e di non essere, in alcun modo al corrente di eventuali attività illecite condotte da Equalize a livello nazionale o internazionale. – hanno fatto sapere dalla multinazionale – Eni, per rispetto delle indagini in corso, non commenta dettagli che in questo momento stanno emergendo in modo totalmente decontestualizzato, e conferma di avere a suo tempo conferito a Equalize un incarico investigativo a supporto della propria strategia e difesa nell’ambito di diverse cause penali e civili, nonché verifiche procedurali su alcuni fornitori potenzialmente di rilevanza processuale”.
Inoltre, ad Eni non risulterebbero sottratti o mancanti atti o altre informazioni riservate o commercialmente rilevanti, o effrazioni ai sistemi informatici della società. Tornando poi al caso di Roma, nella capitale sarebbe stata operativa la cosiddetta “Squadra Fiore”, dal nome di una chat sulla quale gli hacker si scambiavano informazioni.
Collegamento tra Milano e Roma sarebbe la figura dell’informatico Nunzio Samuele Calamucci. I pm lombardi hanno inviato nella capitale un corposo fascicolo. L’inchiesta capitolina è stata già avviata alcuni mesi fa ed al momento si sta procedendo a carico di ignoti. Cinque persone sarebbero però nel mirino dell’Antimafia romana. Il gruppo avrebbe puntato ad acquisire le comunicazioni del sistema di indagine del Ministero dell’Interno, lo Sdi, o le segnalazioni di operazioni sospette di Bankitalia, le Sos. Una attività svolta su richiesta anche di clienti esteri.