Il rapporto Ecri che criticava le forze dell’ordine in Italia non è l’unico documento di un’organismo internazionale sull’argomento: Notizie.com ha visionato un dossier Onu.
“In Italia, il Meccanismo ha scoperto che i pregiudizi verso gli africani e le persone di discendenza africana hanno contribuito alla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine. E alla loro rappresentazione sproporzionata all’interno del sistema di giustizia penale italiano”.
Diversi mesi prima del Consiglio d’Europa, era stata già l’Onu a puntare il dito contro l’Italia e le forze dell’ordine. Il caso è quello dell’Ecri (la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza), che il 23 ottobre scorso ha diffuso un rapporto nel quale, tra le altre cose, aveva scatenato polemiche la parte riguardante la presunta profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine italiane.
Una profilazione che avverrebbe durante le attività di controllo, di indagine e successivamente di sorveglianza. La discriminazione è stata rilevata dall’Ecri soprattutto nei confronti della comunità rom e delle persone di origine africana. La vicenda è deflagrata, scatenando le reazioni politiche di maggioranza e opposizione, fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Notizie.com è riuscito a visionare un documento precedente a quello del Consiglio d’Europa, elaborato da un organismo dell’Onu. “Gli esperti – si legge in una nota – hanno raccolto testimonianze sulla profilazione razziale come base per controlli d’identità e perquisizioni, da parte di diversi corpi delle forze dell’ordine in Italia, fondate sull’assunzione che la persona non fosse di cittadinanza italiana o su presunzioni di criminalità”.
L’organismo in oggetto è il Meccanismo indipendente internazionale delle Nazioni Unite per promuovere la giustizia razziale e l’uguaglianza nell’applicazione della legge. È stato istituito nel luglio 2021 dal Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu. Tre membri del Meccanismo, il giudice Akua Kuenyehia del Ghana, la dottoressa Tracie Keesee degli Usa ed il professor Juan Méndez dell’Argentina, sono rimasti in Italia per 9 giorni fino al 10 maggio 2024.
Gli esperti si sono recati a Roma, Milano, Catania e Napoli. Hanno visitato un centro di accoglienza per migranti a Catania e centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) a Milano e a Ponte Galeria a Roma. Hanno inoltre visitato l’Istituto penale per i minorenni Beccaria e le case circondariali San Vittore a Milano e Poggioreale a Napoli.
“La raccolta, pubblicazione e analisi dei dati disaggregati – ha detto Méndez – per razza o origine etnica in tutti gli aspetti della vita, in particolare riguardo alle interazioni con le forze dell’ordine e il sistema di giustizia penale, è un elemento essenziale per progettare e valutare le risposte al razzismo sistemico”.
Gli esperti hanno inoltre espresso preoccupazione sul sovraffollamento nelle carceri italiane. E sull’impatto che questo produce sul rispetto dei diritti umani dei detenuti. È stata evidenziata l’incarcerazione sproporzionata di africani. Così come di persone di discendenza africana. Un aspetto che ha ulteriormente messo in luce la prevalenza del razzismo sistemico. Sono stati anche riscontrati casi di tortura e maltrattamenti.
Gli esperti hanno incontrato giudici, pubblici ministeri, avvocati e rappresentanti dei principali corpi delle forze dell’ordine in Italia. In particolare polizia, guardia di finanza, polizia penitenziaria e Arma dei carabinieri. Inoltre il Meccanismo ha visitato l’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). E poi diversi dipartimenti dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia.
“Riconosciamo che il compito delle forze dell’ordine è difficile. – ha detto Tracie Keesee – Abbiamo parlato con agenti. Hanno espresso la necessità di servizi di supporto aggiuntivi per la loro salute e per quella dei loro familiari”. “Le manifestazioni di razzismo sistemico contro gli africani e le persone di discendenza africana da parte delle forze dell’ordine e nei sistemi di giustizia penale sono ancora predominanti in molte parti del mondo e persiste un’ampia impunità“, ha concluso Akua Kuenyehia, presidente del Meccanismo.