“Tim Burton è un regista apprezzabilissimo, tuttavia è arrivato a degli eccessi: i suoi film fanno più sorridere che inquietare”.
Il 31 ottobre, ormai da anni, è diventato un motivo per fare festa anche in Italia, ma cosa ne pensa uno dei maestri per eccellenza dell’horror italiano? Pupi Avati a Notizie.com ha raccontato un momento che ogni anno è sempre più sentito nel nostro Paese.
“Halloween è una pagliacciata, un qualcosa di rassicurante nel quale manca l’inquietudine che invece il grande cinema di genere suscitava. Quando ero bambino il margine tra vita e morte era molto sfumato. Già nella cultura contadina esisteva questo modo di divertirsi per spaventare ed essere spaventati, un grande classico. Qualsiasi bambino si è nascosto dietro a una tenda o qualcos’altro per fare ‘buh’ a un compagno e spaventarlo. I bambini sono incuriositi dall’aldilà e dai fantasmi. Se fossi un bambino oggi non mi spaventerei, non godrei di quelle paure di un tempo suscitate dall’atmosfera“, così il regista de La Casa dalle Finestre che Ridono.
Poi una critica al cinema di oggi: “Adesso le tecnologie hanno fatto in modo che la spettacolarizzazione arrivi a dei livelli eccessivi. C’è sempre qualcosa di artefatto. La paura deve essere creata dalla situazione, dall’atmosfera, più che dal pupazzo che si muove con tre occhi invece di due o con le mani con le unghie lunghissime. Il caso più tipico è quello del cinema di Tim Burton che è un regista apprezzabilissimo, ma che tuttavia è arrivato a degli eccessi: i suoi film fanno più sorridere che inquietare“.
Pupi Avati torna di nuovo all’horror, il suo rapporto col genere
Pupi Avati è un regista totale, un grande uomo di cinema che non è ricordato solo per i film horror. Tra tanti capolavori sono diversi i momenti in cui è tornato al genere: “Ogni dieci film circa ho avvertito la necessità di portare l’auto dal meccanico per fare un reset, per capire se ero ancora capace di ottenere dei risultati attraverso degli espedienti classici del genere che mi è più congeniale, l’horror. Perché? Ho avuto un’infanzia, ormai remota, in cui la favola contadina, la paura, mi hanno fatto capire quanto mi piacesse essere spaventato”. Ora al cinema tornerà a marzo con L’orto americano, un film horror ambientato proprio a Bologna nel 1945 appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Torniamo però agli anni Sessanta, quando il regista è esploso proprio grazie a La Casa dalle Finestre che Ridono: “Tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento questo genere è diventato un cavallo di battaglia del cinema italiano anche all’estero. Alcuni miei colleghi imperversavano ovunque con grandissimi risultati commerciali, rispettando il genere”.
“Quando feci La Casa dalle Finestre che ridono mi resi conto però che era una sorta di abdicazione dal cinema d’autore, per un regista era una sorta di rinuncia, tuttavia credo di essere riuscito a mediare la cosa nel senso che ho mantenuto una mia identità e rispettato anche le regole del genere che sono di indurre paura, angoscia e tensione”, parole con cui Pupi Avati riesce a esprimere il suo percorso all’interno di un genere tanto complesso proprio come il cinema dell’orrore.