Domani alle 9 la manovra 2025 approderà in Parlamento: la attendono al varco le opposizioni, ma anche gli stessi alleati della premier Giorgia Meloni.
Una “manina”, anzi, più manine, avrebbero indispettito i leader di Forza Italia alla vigilia dell’ingresso in Parlamento della manovra 2025. Una legge di bilancio che si preannuncia già rigidissima e con pochi margini per gli emendamenti.
Nel mirino di Fi sono finiti così tecnici e dirigenti. Il primo a farne parola è stato il senatore Maurizio Gasparri, che si è fatto portavoce del taglio alle “unghie dei colossi del web. Che pagano tra lo 0 e il 2% di tasse mentre l’ultimo commerciante deve pagare il 30, 40 o 50% di tasse sul suo fatturato”. Gasparri ha sottolineato che “la Ragioneria dello Stato ha sbagliato anche in questo campo”. Il senatore ha anche detto che chiederà conto e ragione alla Ragioneria “su alcuni atteggiamenti non chiari”.
Subito dopo c’è stato il caso del vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha sì elogiato la manovra in quanto “corretta, equilibrata e che va nella direzione giusta”. Ma ha anche parlato di “aspetti statalisti e dirigisti inaccettabili”. Il riferimento è alla decisione di imporre alle imprese che ricevono aiuti e contributi dallo Stato la presenza di revisori dei conti rappresentanti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Una misura “non discussa in Consiglio dei Ministri e inserita improvvidamente da qualche dirigente del Mef”.
“Una regola che ricorda i metodi della Stasi della Germania dell’Est. – ha dichiarato Tajani – È una norma priva di senso. Può solo spaventare gli investitori e creare panico in chi deve intraprendere. Una cosa da Grande Fratello. Ripeto: di questo non si è mai discusso in Consiglio dei ministri e va cancellata. Ho parlato con il ministro Giorgetti: mi ha assicurato che verrà modificata”.
La “manina” del Mef avrebbe fatto storcere il naso al vicepremier anche per “il blocco del turn over delle forze dell’ordine. La sicurezza è una priorità per questo governo”. Poi ancora una stoccata ai tecnici: “E se non lo è per qualche funzionario, lo è per il governo che, insieme con il Parlamento, decide la politica economica del Paese. Va rivista anche la web tax a tutela dei piccoli. Sollecitiamo poi la riapertura dei termini del concordato”.
Sarà dunque una lunghissima settimana per il governo di Giorgia Meloni, chiamato anche a non scontentare gli alleati, e soprattutto per il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti, atteso in Parlamento giovedì prossimo, il 7 novembre. Prima di allora Giorgetti è atteso all’Eurogruppo già domattina e poi martedì all’Ecofin. La terza manovra del governo di centrodestra a guida Meloni, come già accennato, comincerà il suo lungo viaggio domattina alle ore 9 in Parlamento alla Camera dei Deputati.
Si partirà con le audizioni delle associazioni alle 9 fino alle ore 21: ambientalisti, terzo settore, industriali, artigiani, docenti e consumatori. Martedì e mercoledì sarà la volta di Enti locali, enti locali, Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di bilancio e università. Nel frattempo, i partiti prepareranno gli emendamenti, anche se i margini sono strettissimi. Le forze politiche hanno tempo per presentarli fino all’11 novembre. Sempre che anche in Parlamento non compaia una “manina” ad invitare la maggioranza a tirare dritto.
L’opposizione, dal canto suo, si batterà in particolare per la sanità e per l’automotive, tema caldissimo all’attenzione dei sindacati, che hanno anche annunciato uno sciopero generale sulla manovra il prossimo 29 novembre. “I dati che dà Meloni dimostrano che abbiamo ragione noi. – ha detto Elly Schlein, segretaria del Partito democratico – Il 6.5% è il livello più basso mai toccato per la spesa sanitaria, ma chi lo sa meglio sono gli italiani che rinunciano a curarsi. Non è un caso, è un disegno: la destra vuole una sanità a misura di portafogli”.