Bloccata e malmenata, le hanno strappato i vestiti. Poi arrestata perché avrebbe deciso di toglierseli e mettersi in intimo per protesta.
Dal giorno dell’arresto avvenuto il 2 novembre, il mondo intero si sta domandando dove sia la studentessa dell’Università islamica di Azad a Teheran. Un’altra versione dei fatti emerge dalla ricostruzione di Amnesty International su questa vicenda dai contorni foschi, e che sembra avere le caratteristiche classiche dell’ennesima violazione dei diritti umani perpetrati dal governo iraniano in nome della Sharia.
“Stiamo cercando di localizzare dove si trovi e se ci sono accuse nei suoi confronti”. La voce che parla ai nostri microfoni è quella di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International e racconta di una ragazza, Ahoo Daryaei, che non è pazza. La sua identità non è ancora stata confermata ufficialmente, ma sui social viene chiamata con questo nome. “Lei è stata arrestata per violazione delle norme sull’abbigliamento, non perché è pazza. È stata prima bloccata, malmenata e le hanno strappato i vestiti perché aveva il velo fuori posto. Così, ha deciso di toglierseli perché erano lacerati e si è messa in abbigliamento intimo per protesta. Questa è la versione accreditata da Amnesty International”.
Secondo Al Jazeera, che cita la portavoce del governo iraniano Fatemeh Mohajerani, ancora non sono state presentate accuse formali nei suoi confronti. Dopo l’arresto, Ahoo è stata portata dalla polizia della Revolutionary Guards Intelligence Organization in una struttura per ricevere delle cure, e da allora sulla sua storia è calato il silenzio.
Intanto sui social è partito il tam tam: dov’è Ahoo Daryaei? Per il governo iraniano la giovane va curata in una clinica specializzata in malattie mentali. Per Amnesty invece, il suo è stato un gesto di protesta contro gli obblighi imposti alle donne, compresi quelli di coprirsi la testa col velo e indossare abiti larghi in pubblico.
La versione ufficiale è stata confermata anche dal ministro della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia Hossei Simaeil: il gesto della studentessa ha “infranto le regole, è stato immorale e contrario ai costumi”. E in più “coloro che hanno ripubblicato queste immagini hanno propagandato la prostituzione”.
Secondo questo racconto, Ahoo Daryaei non è stata espulsa dall’Ateneo e non si trova in un centro di detenzione. E pure la responsabile delle relazioni pubbliche dell’Università Azad, Amir Mahjoub, ha confermato che la studentessa era “sotto pressione e soffriva di problemi mentali”, e che non si sanno ancora i motivi del suo gesto.
“La definizione di pazza, o disturbi mentali ed emotivi è quella che le autorità iraniane attribuiscono a ogni donna che protesta. L’hanno attribuita anche alle centinaia di studentesse avvelenate misteriosamente nell’anno scolastico 2022-2023. Non c’è da meravigliarsi”, dice Noury.
Il fatto citato dal portavoce di Amnesty è quello degli attacchi chimici nei confronti delle alunne, perpetrati in più di cento scuole. Si parla di oltre 13mila studentesse avvelenate con l’azoto nell’arco di quell’anno scolastico. Per la vicenda sono state arrestate un centinaio di persone ma le loro confessioni, trasmesse sulla tv iraniana, sono state condannate dalla comunità internazionale perché estorte con la tortura. Anche l’Alto Commissario dell’Onu ha condannato la reazione del governo iraniano.
Ma torniamo ad Ahoo. “Quello che sappiamo è che si trova in un ospedale psichiatrico. Non abbiamo conferme del fatto che sia in coma, quindi non possiamo dirlo. Ma è fuori dubbio che si tratta di luoghi di tortura. Continuiamo a sollecitare che, dovunque si trovi, venga rimessa in libertà”.
Farmaci somministrati senza consenso, isolamento, divieto di contatto con familiari e amici e addirittura con un avvocato: “Sono forme di tortura – dichiara Noury – Il fatto che persone perfettamente sane vengano portate in strutture del genere per motivi politici come ai tempi dell’Unione Sovietica, è una violazione dei diritti umani”.
Il team di Amnesty sull’Iran a Londra sta seguendo la situazione da vicino, ma è difficile anche entrare in contatto con i parenti della studentessa: “C’è da rendersi conto che in generale i familiari di persone che subiscono violazioni dei diritti umani, sanno benissimo che se parlano rischiano di fare la stessa fine. Oppure vengono messe loro in bocca parole che vanno bene al regime. Non dimentichiamo che hanno costretto i genitori di persone uccise a celebrare funerali senza pubblico, o a dire che le loro figlie erano morte per cause naturali. Non mi meraviglierebbe se a un certo punto saltasse fuori la dichiarazione di un parente di questa ragazza che dice che è tutto a posto, che era disturbata e che hanno fatto benissimo”.
Quella di Ahoo Daryaei sembra essere l’ennesima storia di diritti negati alle donne in Iran. L’ennesima voce spezzata dal divieto perfino di cantare, se non accompagnata da un uomo. “Se c’è qualcuno che pensa che la versione ufficiale iraniana sia quella a cui dare retta, dimentica il pregresso degli ultimi due anni”, conclude Noury. “Come quando dicono che le persone non sono morte in piazza ma dopo il morso di un cane con la rabbia. Oppure che si sono suicidate lanciandosi da un tetto o che hanno mangiato cibo avvelenato. Quella di questa ragazza è l’ennesima versione ufficiale che scagiona le autorità da ogni responsabilità”.