Il presidente eletto Usa Donald Trump sta preparando la propria squadra di governo in vista dell’insediamento alla Casa Bianca.
Detrattore delle politiche commerciali della Cina, ex avversario dello stesso tycoon, scettico sullo sforzo bellico a sostegno dell’Ucraina. Parliamo di Marco Rubio, il senatore repubblicano della Florida: il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump sarebbe pronto a nominarlo suo segretario di Stato.
Un incarico importantissimo quello del capo della diplomazia Usa, attualmente ricoperto da Antony Blinken, uomo di fiducia del presidente in carica Joe Biden. Il segretario di Stato è principalmente “tradotto” come il Ministro degli Esteri, ma svolge anche funzioni interne, essendo il più alto in grado del gabinetto del presidente, e nell’ambito della giustizia. Mentre continua il dibattito internazionale, insomma, sulla presunta telefonata tra Trump ed il presidente russo Vladimir Putin, il 47esimo inquilino della Casa Bianca continua a costruire la propria squadra di governo.
Marco Rubio ha 53 anni, è di origine cubana. Nato a Miami, in Florida, ha una laurea in Scienze politiche. Ha una grande esperienza di politica internazionale, ed è attualmente membro del Comitato per le relazioni estere del Senato. Nel 2016 si è scontrato duramente con Trump alle primarie presidenziali, arrivando anche agli insulti personali. In quell’occasione aveva definito colui che poi ha vinto primarie e presidenziali “la persona più volgare ad aver mai cercato la presidenza”.
Rubio era anche tra i papabili alla vicepresidenza repubblicana, scelta che è poi ricaduta sul senatore repubblicano dell’Ohio JD Vance. Nel 2000 è stato eletto come rappresentante del 111mo distretto alla Camera dei rappresentanti della Florida, poi al Senato dello Stato nel 2019. Nel 2010 è stato eletto per la prima volta al Senato Usa grazie al supporto della fazione di destra repubblicana del Tea Party. In occasione della campagna elettorale appena conclusa, in un processo di lento riavvicinamento politico ed umano nei confronti di Trump, è stato tra i primi repubblicani ad annunciare il pieno sostegno al tycoon.
Un riavvicinamento riscontrabile anche nelle politiche estere a sostegno di Kiev. Subito dopo l’invasione da parte della Russia era un convinto sostenitore dell’Ucraina, salvo poi mostrarsi scettico. “Non sono dalla parte della Russia, ma sfortunatamente la realtà – aveva dichiarato Rubio a fine settembre – è che il modo in cui finirà la guerra in Ucraina sarà con un accordo negoziato. E io voglio, credo che Donald Trump voglia, che l’Ucraina abbia più leva possibile in quei negoziati”.
Marco Rubio è anche tra i più grandi avversari della Cina in ambito commerciale. Nel corso del tempo ha lanciato ripetuti avvertimenti in merito ai canali di influenza cinese negli Stati Uniti e criticato il social TikTok. È stato uno dei principali artefici dello Hong Kong Human Rights and Democracy Act, la Legge sui diritti umani e la democrazia ad Hong Kong. In sostanza, il governo Usa potrebbe intervenire nel caso in cui Pechino minacci l’autonomia e la libertà di Hong Kong.
“Il mondo sta cambiando rapidamente. Sapete, gli avversari si stanno unendo – ha detto Rubio subito dopo le elezioni del 5 novembre – in Corea del Nord, Iran, Cina, Russia e coordinandosi sempre più. Ciò richiederà molto pragmatismo e saggezza da parte nostra su come investiamo all’estero e su cosa facciamo”.
Marco Rubio non rappresenta l’unica novità nel probabile scacchiere di Donald Trump, pronto ad insediarsi a Washington il 20 gennaio prossimo. Kristi Noem, governatrice del South Dakota, sarebbe pronta ad essere nominata segretario alla sicurezza interna. Una fedelissima del tycoon, anch’ella in lizza per la carica di vicepresidente. Noem, però, ha dovuto fare un passo indietro dopo la pubblicazione di un suo libro nel quale ha rivelato di aver ucciso un cucciolo di cane da caccia perché impossibile da addestrare.
Consigliere per la sicurezza nazionale, invece, sarà il deputato repubblicano Mike Waltz della Florida. Come Rubio anche Waltz ha ampiamente criticato le attività cinesi, esprimendo la necessità che gli Stati Uniti siano pronti per un potenziale conflitto nella regione.