Una ricercatrice dell’Università di Zagabria ha trattato il suo tumore con una cura sperimentale, facendo alzare una ventata di polemica tra i colleghi.
La rivista Vaccine ha descritto il caso di Beata Halassy, questo il nome della paziente protagonista dell’auto-prescrizione, come “qualcosa da non imitare“.
Lucia Del Mastro, professoressa di Oncologia all’Università di Genova e Ricercatrice Airc, ha parlato a Notizie.com specificando: “Quello della sperimentazione non deve diventare un campo che sfugge al controllo. Ciò che è pericoloso è il messaggio che passa, la possibilità di effettuare dei trattamenti non registrati al di fuori delle sperimentazioni cliniche. Gli studi clinici sono in corso, ma dobbiamo aspettare i risultati. Ciò che è stato registrato in un singolo paziente non può determinare l’applicazione in vasta scala, ma va confermato dalla sperimentazione clinica”.
“Si devono seguire delle regole per salvaguardare la salute del soggetto sul quale la sperimentazione viene effettuata. Questo è il motivo per cui molte riviste hanno rifiutato di pubblicare questo lavoro“, aggiunge la ricercatrice, sottolineando che il rischio è di trovarci di fronte a dei problemi non indifferenti.
Il pericolo che circolo un messaggio sbagliato è dietro l’angolo: “Affermare che la virologa è guarita dal tumore attraverso il virus è in realtà sbagliato, infatti il nodulo residuo è stato asportato chirurgicamente e successivamente è stata la donna sottoposta a terapia standard con un anticorpo monoclonale”.
Lucia Del Mastro spiega dal principio questo episodio, partendo dalla cura sperimentale: “I virus oncolitici sono un campo di ricerca in fase di sviluppo per quanto riguarda il trattamento dei tumori. Ci sono vari studi clinici in corso per valutare il loro potenziale ruolo. I virus agiscono non solo provocando la distruzione delle cellule tumorali ma anche stimolando il sistema immunitario a reagire. Uno di questi agenti negli Stati Uniti è già stato approvato per il melanoma”.
Passa poi ad analizzare il caso della virologa dell’Università di Zagabria che “ha utilizzato due di questi virus oncolitici iniettandoli all’interno di una recidiva di tumore della mammella“, questo perché “aveva una recidiva locale nella zona dove era stato asportato il tumore iniziale. Quello che descrive nel suo lavoro è una riduzione di questo nodulo, ma non la totale scomparsa“.
Il futuro potrà portare anche a delle evoluzioni positive, ma al momento la situazione è ancora complessa: “Questo tipo di trattamento è in fase di sperimentazione, anche nel tumore della mammella, e siamo in attesa dei risultati quindi il razionale biologico perché questo approccio possa funzionare”.